Dall’inizio dell’anno a oggi (12 novembre) si calcola che metà dei profughi sbarcati in Europa, soprattutto siriani ma non solo, siano passati da Lesbo: 400.000 su 800.000, ma le cifre continuano a crescere. Nei momenti di massima congestione, dovute a difficoltà nei collegamenti marittimi con il Pireo, questa folla dolente è arrivata a rappresentare più d’un terzo della popolazione dell’isola.
L’Ong "Angalià” (in greco "abbraccio”) è stata fondata nel paese di Kallonì, situato nella parte centrale dell’isola, da un prete del posto, Papa-Stratìs (che potremmo tradurre come "don Eustràtio”), nel 2007. Concentratasi inizialmente nell’assistenza alle vittime locali della crisi economica, Angalià ha preso a occuparsi anche dei profughi, che prima alla spicciolata, poi sempre più in massa, hanno cominciato a sbarcare a Lesbo. Papa-Stratìs è morto di cancro ai polmoni all’inizio del settembre scorso, in piena crisi migratoria. La cronaca che segue, ripresa dalla testata online di Lesbo Lesvosnews (www.lesvosnews.net) è firmata da Ghiorgos Tyrìkos-Ergàs, attualmente portavoce di "Angalià”, e da altre due volontarie.
Sei mesi di solidarietà con "Angalià”
Domenica 1° novembre 2015: "Cronaca di un semestre tragico”.
È a maggio che è cominciata la fiumana dei profughi. Sono ricomparsi a Kallonì. Da allora fino a giugno è stato necessario lanciare appelli drammatici per ricevere soldi. Appena pochi mesi prima, quando ci davano 50 euro sorridevamo con Papa-Stratìs perché avevamo "i quattrini”: con l’avvento della crisi ci è toccato pagare di tasca nostra per garantire integralmente il funzionamento elementare di "Angalià”. Ci davano 50 euro e ci pareva una gran notizia. La gente offriva vestiti, ma soldi no. Le cose però sono cambiate come mai prima era successo. I numeri erano spaventosi. Mentre negli anni precedenti avevamo 60-70 profughi al mese, o anche meno, d’improvviso ci siamo ritrovati con 60-70 persone al giorno. Chi l’avrebbe detto che in poco tempo saremmo arrivati, in una sera, a doverci occupare di mille persone stremate? Chi l’avrebbe mai detto… Il magazzino che avevamo accanto al commissariato di Kallonì l’abbiamo aperto per far entrare la gente: profughi afgani, siriani, somali, iracheni, palestinesi, pakistani, persino dello Sri Lanka. È stato un giugno piovoso, non ci reggeva il cuore di lasciare le famiglie all’addiaccio e i pianali di scatolame al riparo.
Dov’è andata tutta questa gente, migliaia, e come ce l’abbiamo fatta? Facendo una stima per difetto del loro numero (calcolato in base a quanti toast abbiamo preparato), da maggio a oggi sono passate più di 17.000 anime. Più gente in sei mesi di tutta quella che avevamo soccorso negli anni precedenti. Questo periodo è stato segnato dalla morte di Papa-Stratìs. Abbiamo perso l’ispiratore, la guida, l’amico. L’uomo che era l’anima di "Angalià”. Senza di lui non esisterebbe nulla e noi non saremmo che dei volontari anonimi.
Negli ultimi, difficili mesi abbiamo informato quotidianamente la gente, allertato, lanciato appelli, pregato, minacciato. Gli appunti raccolti sono il nostro lascito. Il "Diario di Angalià” o, come lo chiamiamo fra di noi, "Antidoti alla bruttezza”. Questi testi hanno fatto conoscere la situazione che stavamo vivendo, le nostre paure, i nostri sogni, parlando di un mondo d’infinita umanità, di bontà ma anche d’insensibilità. L’azione instancabile di Papa-Stratìs, pur nella malattia, ha seguitato a dare slancio a tutto quanto. Siamo andati avanti sapendo che ...[continua]
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