Con Italo Calvino, suo coetaneo, Zanzotto è stato per più di vent’anni lo scrittore di maggior successo della sua generazione, il più accettato e studiato nelle università, il meno discusso. Una tale situazione favorevole ne ha promosso presto la consacrazione, mentre d’altra parte ha presentato qualche svantaggio e ha avuto, soprattutto nella sua produzione matura e tarda, effetti negativi. Qualunque cosa in qualunque modo scrivesse, Zanzotto poteva contare su schiere di esegeti e commentatori prontissimi a spiegare, teorizzare, giustificare in termini apologetici ogni aspetto della sua poesia e dei suoi esperimenti. Sembrava il poeta più adatto alla critica formalistica e strutturalistica.
Bene accolto fin dal suo esordio, Zanzotto toccò il vertice del suo successo con La beltà (1968), libro che si presentava nello stesso tempo come una sintesi del passato e una svolta che annunciava un lungo futuro. La "posizione di appartato” che caratterizzava Zanzotto, il suo essere stato "un epigono fuori tempo dell’ermetismo” (come ha scritto Mengaldo), hanno fatto di lui il più abile e dotato concorrente e antagonista della neoavanguardia rappresentata dai "Novissimi” (Pagliarani, Sanguineti, Giuliani, Porta, Balestrini). Tecnicamente Zanzotto era superdotato e quanto ad autocoscienza critica forse perfino ne abusava. Con la neoavanguardia aveva in comune analoghi o identici presupposti di cultura letteraria: surrealismo, smontaggio delle forme tradizionali, abrasioni e perturbazioni semantiche, sperimentalità psicolinguistica, contaminazione di codici alti e bassi, da quello tecnico-scientifico a quello liricizzante o colloquiale o dialettale, fino alle ecolalie del linguaggio infantile (il petèl).
Tutta la lirica di Zanzotto (che Gianfranco Contini battezzò come il maggior poeta italiano dopo Montale) si presenta come un’autoanalisi del genere lirico e dell’io che lo sostiene. Paesaggio e psiche, microcosmi minacciati dal caos ecologico e stratigrafie di un io instabile nella propria identità espressiva e comunicativa, fanno della sua poesia un laboratorio nel quale un passato letterario secolare (dal Virgilio bucolico a Petrarca, da Hoelderlin a Mallarmé, Ungaretti, Eluard, Montale...) si decompone, si espande e si contrae nell’impresa eroica e fallimentare di rispecchiare mimeticamente un presente magmatico, esplosivo, alla deriva.
Già ne La Beltà i limiti delle oltranze "decostruttive” autoanalitiche, da laboratorio linguistico, su cui Zanzotto fonda la sua prassi compositiva, sono limiti evidenti. Ne risultano molte zone di opacità e di vuoto che solo la perizia e la benevolenza interpretativa degli studiosi hanno potuto ingegnosamente (ideologicamente) valorizzare:

Dolce andare elegiando come va in elegia l’autunno,
raccogliersi per bene accogliere in oro radure,
computare il cumulo il sedimento delle catture
anche se da tanto prèdico e predico il mio digiuno.
E qui sto dalla parte del connesso anche se non godo
di alcun sodo o sistema:
il non svischiato, i quasi, dietro:
vengo buttato a ridosso di un formicolio
di dèi, di un brulichio di sacertà.
Là origini – Mai c’è stata origine.
Ma perché allora in finezza e albore tu situi
la non scrivibile e inevitata elegia in petèl?
"Mamma e nona te dà ate e cuco e pepi e memela.
Bono ti, ca, co nona. Béi bumba bona. È fet foa e upi”
Nessuno si è qui soffermato – Anzi moltissimi.
(...)
L’assenza degli dèi, sta scritto, ricamato, ci aiuterà
– non ci aiuterà –
tanto l’assenza non è assenza gli dèi non dèi
l’aiuto non è aiuto. E il silenzio sconoscente
pronto a tutto,
questo oltrato questo oltraggio, sempre, ugualmente
(poco riferibile) (restio ai riferimenti)
(anzi il restio, nella sua prontezza):
e il silenzio-spazio, provocatorio, eccolo in diffrazione,
si incupisce frulla di storie storielle, vignette
di cui si stipa quel malnato splendore, mai nato,
trovate pitturanti, paroline-acce a fette e bocconi, pupi,
barzellette freddissime fischi negli orecchi
(vitamina A dosi alte per trattarli
ma non se sono somatismi di base psichica),
e lei silenzio-spazio
e lei allarga le gambe e mostra tutto;
(...)
ma pure
ma alla svelta
ma tutto fa brodo
(cerchiamo, bambini, di essere buoni
nel buon calore, le tue brune tettine,
il pretestuarsi per ogni movimento
in ogni momento,
calore non mai tardo nel capire
come credono "certe persone”
anzi astuto come uno di voi
quando im ...[continua]

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