Cari amici,
a febbraio sono stata una settimana a New York dove, grazie all’aiuto di Michael Walzer e alle indicazioni di alcuni amici e collaboratori, ho fatto alcune interviste, oltre ad avere il privilegio di trascorrere un po’ di tempo con Michael e la moglie Judy.
Il primo giorno Michael mi ha accompagnato alla sede di "Dissent”, dove ho intervistato quattro di loro, due "vecchi" e due "nuovi" dissentnik. Hanno raccontato diversi aneddoti su Irving Howe, il fondatore, e su come la sfida sia stata fin dall'inizio quella di ospitare una pluralità di voci all'interno di alcuni paletti o linee rosse. E di cercare di non separarsi quando c'erano dissensi interni. Potete leggere l’intervista in questo numero. Cercando lo spelling corretto di alcuni nomi, mi sono imbattuta in storie straordinarie. Ce ne sono tante, ma voglio ricordare brevemente almeno la figura di Simone Plastrik, nominalmente la business manager di "Dissent”. Il suo nome non è mai comparso nella rivista, eppure a detta di tutti ne era l’anima. Si definiva una "donna d’azione”. Era stata nella resistenza francese, ma non ne parlava. In realtà era nata in Polonia, ma da bambina si era fatta una brutta frattura e il padre l’aveva dovuta portare in Francia, dove si era infine stabilito con moglie e figli. I parenti rimasti in Polonia -tutti- erano morti nei campi. La perentorietà dei suoi richiami all’ordine erano leggendari: "Ho bisogno di parlarti”. L’urgenza poteva essere dettata dalla necessità di scrivere subito una lettera di scuse all’abbonato a cui la rivista non era arrivata, o il rimprovero a un redattore per non avere ancora chiamato il potenziale sostenitore. Per lei la cura delle piccole cose era fondamentale. Non sopportava l’approssimazione. Fare le cose bene e subito era un dovere morale. Mark Levinson ricorda come dopo la morte di suo marito Stanley, tra i fondatori di "Dissent” e amico fraterno di Howe, si incontrarono a casa di Simone. Howe era così affranto che disse che forse era il caso di smettere con la rivista. Appena uscito dalla stanza, Simone disse a Mark: "Irving dice sciocchezze. ‘Dissent’ andrà avanti. Abbiamo bisogno del tuo aiuto”.

Il secondo giorno ho incontrato Mike Gecan, un community organizer. L’ho intervistato nel treno che ci portava a Long Island, dove c’è un problema enorme di abuso di oppioidi tra i giovani (solo l’anno scorso ne sono morti 600 di overdose). La comunità è traumatizzata. C’era un incontro in una chiesa episcopale (tanti giovani preti uomini e donne, bianchi e neri, tutti col colletto bianco, una anche con i capelli verdi). Molto simpatici e "vivi”. Anche la donna sacerdote che mi si è seduta vicino facendo subito conversazione ha perso un figlio così. Si comincia con un trauma a un ginocchio e il medico che ti prescrive un barattolo con 100 pillole di oxicodone...
L’idea del community organizing, che viene da Saul Alinsky, è molto kennediana: si parte sempre da cosa puoi e vuoi fare tu: riesci a mettere assieme altre 5-10 persone che hanno il tuo stesso problema? Da queste parti ne hanno messe insieme migliaia per resistere agli sfratti e in molti casi ce l’hanno fatta.

Devo dire che il tema dell’abuso di oppioidi, nei pochi giorni trascorsi a New York, è tornato in modo ricorrente. Nel 2015 è uscito un libro importante, "Dreamland. The True Tale of America's Opiate Epidemic”, di Sam Quinones, che ripercorre i passaggi che hanno portato all’attuale epidemia. Già tra il 1997 e il 2002 il numero delle prescrizioni di oxicodone per dolore cronico era passato da 670.000 ai 6,2 milioni. La produzione di oppioidi per uso farmaceutico stava crescendo in tutto il mondo, ma il record era saldo in mano agli Usa (83% del consumo mondiale di oxicodone e 99% di quello di idrocodone). Intanto il prezzo dell’oxicodone venduto per strada diminuiva assieme all’età dei consumatori. In un’indagine del 2004 risultava che nell’anno precedente 2,4 milioni di adolescenti avevano usato un antidolorifico come droga per la prima volta.
Le morti per overdose di oppiacei passarono da dieci al giorno nel 1999 a una ogni mezz’ora nel 2012. Nel frattempo molti erano passati al metadone (che aveva una durata più lunga), le cui prescrizioni infatti quadruplicarono in dieci anni. Fino a che non uscirono le confezioni di oxicodone più "pesante” (da 40, 80, anche 160 mg). L’assuefazione però cresceva assieme all’aumento del dosaggio: molti smisero di sniffare le pasticche e cominciarono a iniet ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!