Cari amici,
questo mese mi sono davvero chiesta se l’intero Paese non sia finito in un bislacco romanzo satirico, un luogo dove tutto ciò che c’era di buono in passato è stato ribaltato. Dove un servizio eccellente, coadiuvato da specialisti informati e preparati, è stato rimpiazzato da una sua nuova versione più luccicante, con operatori meno competenti ma più a buon mercato. Peccato che per la nuova linea di assistenza telefonica 111 -che ha sostituito quella del sistema sanitario nazionale, un tempo amministrata da infermieri specializzati- si sia dovuti ricorrere al personale di cui ci si era liberati per risolvere la confusione di questo nuovo servizio che ha lasciato malati anche gravissimi senza aiuti e indicazioni per tempi inaccettabilmente lunghi. È solo una prova, eppure non si può dire che il governo non sia stato avvertito. I lavoratori del settore sanitario hanno più volte espresso le proprie paure; paure che nel nostro regno sottosopra si sono rivelate fondate.
Stiamo semmai leggendo le ultime righe del tedioso epilogo di un’era. È la fine, e noi stiamo a guardare, cercando però di non mollare la presa. Nel 1948, quando il Sistema sanitario nazionale (Nhs) entrò al galoppo nel nostro Paese appena uscito dalla guerra, era come un cavaliere vestito di un’armatura splendente; la personificazione del coraggio e del bene pubblico, della compassione, del buonsenso e della purezza etica e morale. Aveva giurato di trattare le persone in modo equo e sulla base dei loro bisogni clinici. Fu una fonte d’ispirazione. Faceva parte di un pragmatismo nuovo, ottimistico e apprezzato che intendeva creare un mondo migliore e mettere al bando la miseria umana. E allora come mai quel cavaliere con l’armatura splendente, che cavalca per soccorrere tutti, è sotto attacco? Com’è che la sua splendente corazza si ossida, si spezza durante l’assalto e casca giù dal suo corpo? Com’è che le ossa dello stallone del gran cavaliere affiorano dalle carni? Com’è che il suo valoroso destriero si piega sotto il fardello di sistemi fallimentari e di politiche miopi e impraticabili che menano fendenti alla nostra assistenza sanitaria nazionale?
Nascosta in un documento politico contenente ulteriori riforme sanitarie, si trova una proposta di legge per porre un tetto al numero di visite mediche annue dal medico di base. Arrivi a 15 e hai finito. Oltre a questa idea, ne esiste un’altra secondo cui le visite che il medico di base effettua nelle ore serali e nei fine settimana andrebbero viste come un "lusso che il Paese non può permettersi”. Significa forse che nel nostro regno di future ombre la malattia, il dolore cronico, le febbri e i disagi di ogni tipo dovrebbero organizzarsi al fine di scoppiare esclusivamente durante le ore d’ufficio? Di certo i malati non dovrebbero farsi visitare dal medico di base più di 15 volte ogni 12 mesi. È una proposta che andrebbe a colpire i più vulnerabili: i disabili, gli anziani, le famiglie con bambini, i malati cronici, i depressi. È una proposta "di vedute estremamente limitate”, come l’ha descritta il dott. Clare Gerada del Royal College of General Practitioners. "È stata indubbiamente scritta da qualcuno che non si è mai ammalato o non ha mai parlato con alcun dipendente del servizio sanitario”. Ha aggiunto: "I pazienti vengono qui perché stanno male o perché noi, preoccupati per loro, li spingiamo a farlo. Basterebbe che per la medicina di base venissero stanziati fondi sufficienti a concedere visite in tempi flessibili”.
I già braccati servizi per gli incidenti e le emergenze fuori dall’orario lavorativo sarebbero sottoposti a ulteriore tensione. Tali servizi sono come una pentola a pressione. La direzione del College of Emergency Medicine ha lanciato l’allarme: l’intero apparato potrebbe saltare entro sei mesi, quando sopraggiungerà l’inverno. Occorre modificare il modo in cui il servizio viene finanziato. Inoltre, il reparto per le emergenze e gli incidenti ha bisogno di servizi aggiuntivi per poter far fronte al sempre maggiore numero di pazienti anziani e aiutare coloro che non riescono a trovare supporto vicino a casa o non hanno fiducia nei meccanismi dei servizi sanitari locali. Il problema dei finanziamenti è collegato al fatto che i suddetti reparti vengono penalizzati se accolgono un numero maggiore di pazienti. Una situazione assurda, perfetta per la nostra terra tutta al contrario: un reparto ospedaliero riceve più pazienti e, per aiutarlo a fornire un servizio migliore, gli vengono dati meno aiuti. D’altronde i tagli ai servizi locali significano che la maggior parte di coloro che cercano aiuto medico ha problemi non impellenti. Al College of Emergency Medicine vorrebbero che nei reparti fossero impiegati dei medici generali per quel 30% di pazienti che, non sapendo dove altro andare, chiedono interventi di emergenza pur non avendone veramente bisogno.
Il nostro povero cavaliere è spossato. Il College of Emergency Medicine chiede il raddoppio dei medici specialisti per le emergenze e gli incidenti e un amento del 50% dei medici tirocinanti per mettere fine ai turni di 16 ore. Ci sono poi altri problemi pressanti. Il nostro cavaliere sta cadendo sotto il peso delle opportunità sprecate. Da quando sono al potere i conservatori, ha perso 4000 infermieri: un salasso che si traduce a volte in un’insufficienza di letti e cure postoperatorie e, di conseguenza, nella cancellazione di interventi chirurgici senza quasi preavviso.
Il professor Norman Williams, presidente del Royal College of Surgeons, ha scritto una lettera aperta a Jeremy Hunt, Segretario alla Salute, mettendolo in guardia sul fatto che la crisi degli ospedali -letti insufficienti e insufficienti cure post-operatorie da parte di infermieri specializzati- ha portato a un record nella cancellazione delle operazioni chirurgiche.
Ha scritto: "La situazione è aggravata dai target per i ricoveri d’urgenza, che possono portare a ricoveri inappropriati, dal momento che il target è raggiunto solo una volta che il paziente viene accettato o dimesso. Molti di questi pazienti finiscono per occupare i posti letto dell’ospedale a causa della mancanza dei servizi che garantirebbero loro di essere curati nella comunità. Dobbiamo rafforzare le strutture comunitarie, affinché i pazienti dimessi possano godere di sufficienti servizi di supporto”.
"In chirurgia non abbiamo altra scelta che quella di sospendere le liste, poiché non ci sono letti disponibili o, se ci sono, si trovano in altri reparti”.
Il problema del nostro "Sottomondo” -questo strano e illogico Paese a marcia indietro- è l’impatto sulle persone comuni nella loro esistenza quotidiana.

Qualche settimana fa, una mia amica si è rotta tre dita del piede. Ci siamo viste di recente e mi sono sorpresa nel vedere che ancora avanzava barcollando; sono rimasta allibita nell’apprendere che era ancora in attesa di un appuntamento per potersi sottoporre ai raggi X. Può anche darsi che per quando riuscirà a vedere l’interno di una sala d’aspetto ospedaliera, le sue dita saranno in qualche modo guarite da sole. Un’altra amica, una giovane donna resa completamente invalida da una sindrome di fatica cronica, sta conducendo la sua vita senza alcuna diagnosi, visite specialistiche o qualunque tipo di aiuto oltre a quello del suo amorevole compagno, costretto comunque a lasciarla sola per lunghe ore quando va al lavoro. Sono mesi che è in queste condizioni. Per ottenere un appuntamento da un medico di base possono volerci tre settimane. Un’altra mia amica, un’infermiera che lavora per l’Nhs da quarant’anni, non vede l’ora di andare in pensione, perché il tempo che è costretta a dedicare all’attività amministrativa amputa quello che potrebbe passare con i pazienti. Visti i tagli alle assunzioni e la crescente domanda d’impiego, il lavoro che svolge è a dir poco febbrile.
Quella che per lei era una vocazione, oggi non ha alcun significato. Eppure l’Nhs stringe ancora in mano la lancia. Come Galahad, il nostro cavaliere non è mai stato qui per giudicare, ma per servire.
©Belona Greenwood
(traduzione di Antonio Fedele)