Quest’ultima estate sembra lo specchio dei giorni soleggiati di cento anni fa; le temperature erano forse meno elevate, ma queste interminabili giornate di bel tempo, che hanno cullato le persone nella quiete vacanziera, rendono l’idea di come doveva essere allora. Le memorie del tempo descrivono l’estate del 1914 come interminabile, un periodo di immobilità prima della catastrofica entrata nella guerra mondiale.
Quella guerra si distinse fin da subito per l’opera di reclutamento a livello nazionale. La propaganda, peraltro estremamente efficace, si rivelò quasi superflua, dal momento che furono migliaia di migliaia gli uomini che si arruolarono come volontari nell’Armata Kitchener. Fu una mobilitazione nazionale straordinaria, così come è straordinario l’impegno nazionale nel rievocare la guerra e ricordare il centenario dello scoppio del conflitto. Una rievocazione di tali proporzioni, e certamente di tale durata, non si era mai vista. Le commemorazioni si svolgeranno per tutta quella che fu la durata effettiva del conflitto: oltre quattro anni. È un’esplorazione storica tanto intima quanto maestosa che, esattamente come avvenne con la guerra, si insinuerà in ogni villaggio e in ogni comunità, e in ogni famiglia da nord a sud del paese. Ritengo che stia suscitando un coinvolgimento completamente rinnovato in quella che è stata una guerra taciuta e passata in sordina, una guerra di cui si è parlato pochissimo, nonostante una serie di film e libri importanti, perché offuscata dalla Seconda guerra mondiale. Gli uomini riportarono a casa ricordi e ferite -fisiche, mentali ed emotive- in silenzio, e oggi quella generazione è morta. Se allora non furono spese parole per quel sacrificio senza precedenti, per il massacro di 700.000 uomini britannici, oggi è stato messo a disposizione uno tsunami di parole -vecchie parole trovate nei diari e nelle lettere; e nuove, pronunciate o scritte- per dissotterrare ciò che accadde davvero, e queste parole stanno facendo la storia. È a dir poco entusiasmante. La Bbc ha programmato quattro anni di trasmissioni, un trascinante mix di fiction e documentari per tutte le età; perfino i piccolissimi avranno dei programmi sulla Grande guerra. Esiste poi un sito della Bbc interamente dedicato alla Prima guerra mondiale che, come quando si rivolta la terra, esporrà alla luce del sole i dettagli della guerra e nuovi punti di vista sulle trincee e sul fronte. Ogni museo, biblioteca e istituzione culturale dedicherà un momento alla Prima guerra; ogni paesino, ogni comune e ogni scuola.
Ha fatto notizia la decisione del nostro governo di permettere a due studenti di ogni scuola secondaria di visitare i campi di battaglia delle Fiandre. È un gesto eclatante, perché sono già tantissime le scuole che ogni anno organizzano gite verso siti di interesse storico, ma è l’ennesima dimostrazione dell’importanza che viene attribuita a questo enorme progetto. Penso ci sia un qualcosa nella psiche britannica, la volontà di guardare indietro verso un tempo in cui il paese, rigidamente stratificato in classi, si unì in uno sforzo congiunto, sebbene ovviamente quella non fu la fine della storia. Ci fu il rovescio anche di questa splendente medaglia di patriottismo e dovere. Ci sono lo stoicismo, il coraggio e la creatività che non soltanto permisero di vincere la guerra, ma diedero vita alla modernità sulla nostra isola. La voglia di chiarezza è mitigata dal piacere di esplorare la verità che si cela dietro alle immagini familiari; a raccontare davvero questa storia sono le persone comuni, le loro storie scritte nei diari e condivise nelle lettere, registrate nei diari reggimentali, i ricordi quotidiani del lavoro nelle fabbriche di munizioni, il dolore privato delle madri, i futuri amputati dei giovani. La guerra trasformò gli uomini e le donne comuni in poeti. Ogni giorno, qualcosa come ventimila sacchi di lettere attraversavano il canale della Manica: 12,5 milioni di lettere alla settimana, e alla fine della guerra vennero contati quasi due miliardi di lettere e 114 milioni di pacchi postali. Gli uomini al fronte e le loro famiglie erano uniti da un condotto di speranza. Eppure, come per tutte le cose, questo sforzo monumentale presenta un altro aspetto. Se è vero che la Royal Mail consegnava le parole della gente, è anche vero che le leggeva. Ogni singola lettera dei soldati al fronte veniva aperta e letta. Fu un Everest di censura.
L’opera di svestizione di questa guerra per porre fine a tutte le guerre affascina, perché ogni volta che un nuovo fatto viene rivelato, ogni volta che un nuovo diario mai letto viene ritrovato nel solaio di qualche famiglia, ogni volta che la storia di una vita sacrificata emerge dall’ombra, si formano nuovi interrogativi. Questa una volta era una storia di generali, mentre oggi è una storia di persone. È il passato che vive nel presente. Una rievocazione attiva, sobria e indagatrice di scoperta ed empatia nazionale.
Ho lavorato nelle scuole ad alcuni progetti sull’impatto della guerra sulle comunità locali, e sono rimasta a bocca aperta per il modo in cui gli studenti parlavano del passato. Un’undicenne è arrivata a dire che se suo nonno fosse morto, lei non sarebbe esistita; quindi ha deciso di scrivere del futuro "fantasma” di coloro che morirono, di tutte le generazioni di famiglie che sarebbero potute esistere, e si è chiesta come sarebbe questo mondo senza quel cataclisma. Un altro studente ha scritto che furono soltanto una manciata gli uomini che decisero l’entrata in guerra, ma milioni coloro che morirono. Un altro ancora, guardando i diari e i ricordi di un sopravvissuto, pensando a coloro che non ce l’hanno fatta, ha chiesto a cosa è servito combattere quella guerra. Una domanda che è ancora senza risposta.
© Belona Greenwood
(traduzione a cura di Antonio Fedele)