Di Janusz Korczak in Italia non si sa quasi niente, non circolano né libri né traduzioni.
Credo che adesso ci sia la necessità di capire le comunità infantili e di studiarle. Anche nella nostra università persone che si occupano molto di comunità infantili, di comunità di accoglienza, ignoravano completamente questo autore. Korczak non ha una letteratura accademica in senso stretto, è considerato un autore, un educatore pragmatico, mentre invece ha anche una buona teorizzazione, ma che che viene fuori dai fatti. L’organizzazione di una comunità di bam­bini è molto interessante e credo che Korczak abbia tante cose da insegnarci. E’ necessario che gli studiosi dedichino un po’ di attenzione a questo “Vecchio dottore”. Speravo nel film di Wajda su Korczak, ma finora in Italia non è arri­vato e non so se arriverà mai. Prima di uscire il film ha avuto problemi perché era stato interpretato come una critica agli ebrei, Korczak era visto come un ebreo che andava contro gli ebrei. In realtà il film rappresentava una tragedia nella tragedia: quella delle autorità ebree del ghetto costrette a fare da anello di collegamento con l’autorità nazista, ma questo era presentato in chiave tragica, non di denuncia. Trovo che sia un bel film. La critica ha trovato che il finale fosse troppo ottimistico. Ma è una conclusione da artista che trovo sia molto poetica e tutt’altro che caricata di enfasi: il treno piombato che corre verso Treblinka si ferma in campagna, si aprono misteriosamente i portelloni: il vecchio dottor Korczak e i suoi bambini scendono e corrono in un prato. Ma si capisce che sono tutti morti!
Di Korczak in Italia erano usciti alcuni libri, due per le Edizioni Emme che poi sono fallite: uno di questi era “Re Matteuccio”, un libro per bambini molto famoso nel centro e nord Europa; l’altro è “Come amare i bambini” che è introvabile. E poi “Diari del ghetto”, in un’edizione minore, anche questo molto difficile da trovare. E’ in via di tradu­zione una biografia fatta da un’americana. Korczak è uno di quei personaggi che nel nord Europa tutti conoscono, ma­gari non di nome, infatti teneva negli anni ’30 una rubrica radiofonica in cui si faceva chiamare solo “il vecchio dot­tore”; inoltre Korczak era uno pseudonimo, di Henryk Goldszmit.
C’è un’influenza diretta di Korczak sulla scuola di Lòczy?
Non diretta, perché Korczak non si occupava della prima infanzia, ma di bambini e comunità giovanili. Però hanno in comune l’impostazione metodologica: sono attenti all’organizzazione dell’ambiente e poco propensi all’interventismo. In pratica pensano che si debba avere la padronanza della situazione in cui il bambino non deve correre rischi, ma che il bambino deve poter crescere a modo suo, compiendo un proprio percorso. Questa è l’impostazione comune: l’attenzione ai mediatori. Le persone che operano a Loczy con cui ho parlato sono lettori e profondi conoscitori dell’opera di Korczak, che considerano uno dei loro ispiratori.
La figura dei mediatori ha fatto parlare altri studiosi della nascita, con Korczak, della “pedagogia istituzionale”, perché voleva costruire per i ragazzi un ambiente istituto e istituente: istituto lo era per dato di fatto, istituente perché coi ra­gazzi voleva creare le strutture organizzative di quell’ambiente, che era la casa degli orfani.
Per esempio, c’era il tribu­nale (dei ragazzi e degli adulti), la ricerca di un’organizzazione delle responsabilità, per cui, ad esempio, ogni ragazzo nuovo arrivato veniva affidato a uno già presente. Questo non per creare una gerarchia, ma per dare a tutti un ruolo collegato all’esercizio di una responsabilità e un senso di appartenenza. Se aveva importanza il ruolo, era importante anche il senso del limite di ogni ruolo. C’è un aneddoto a questo proposito: una ragazza nuova arrivata nella casa aveva ricevuto l’incarico di lucidare il pavimento; Korczak passò di lì e le disse: “Dev’essere molto noioso quel la­voro. E’ molto più divertente se prendiamo una coperta da un letto, tu ti ci siedi sopra, io ti trascino e facciamo su e giù per il corridoio”. La ragazza accettò l’idea, e alla fine dell’operazione la coperta era da buttare via. Korczak ricordò alla ragazza che era punita per aver rovinato una coperta e, all’obiezione di lei che era stato lui a proporre di fare quella stranezza, Korczak replicò: “Sei punita due volte perché hai creduto che qualsiasi cosa dica il direttore sia giusta!”. Quello che Korczak voleva era far capire i limiti di ...[continua]

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