S.L.: Nei cristiani che fanno politica c’è la consapevolezza di avere in larghissima misura tradito l’ispirazione cristiana che sosteneva la DC e di essere stati puniti per questo. Conseguentemente, in questi cristiani, Martinazzoli ad esempio, sembra esserci quasi una volontà di espiazione, di punizione, ma c’è anche la coscienza della necessità di una presenza che, evidentemente, non può più essere egemone. C’è quasi una ricerca della sconfitta, nella convinzione che la sconfitta, ergo l’opposizione, sia necessaria e possa purificare, possa far ritrovare delle ragioni profonde di gestione del potere. Ragioni meno immediate del denaro, del prestigio, che permettano di recuperare attorno ad un’idea cristiana anche quelle forze che testimoniano la presenza cristiana, come il volontariato (per il 90% composto di cattolici), che oggi non sono valorizzate, non sono spese politicamente e proprio per questo sono attratte dalla sinistra, la quale si mostra invece molto attenta ad esse.
G.L.: Martinazzoli può essere preso ad emblema di un modo di porsi nella politica che vede il cristiano come martire; cioè come colui che è visibile, che manifesta, anche come perdente, con una sua identità la presenza cristiana nella storia, nella politica, nella società.
Da qui l’esigenza di non farsi in qualche modo risucchiare dalla sinistra -anche se sarebbe una soluzione comoda che la sinistra si facesse carico dei valori sociali, politici, che stanno a cuore al cristiano- ed il problema di una identità cristiana che, dopo il disastro della DC, non può che essere radicalmente in crisi, che si dà quasi togliendosi, quasi sopprimendosi. Ecco il perché delle oscillazioni di Martinazzoli, il non prendere posizione è quasi un voler dire che, anche se la DC non c’è più, ci deve tuttavia essere un qualcosa di cattolico che non riesce bene a configurarsi.
Al di là dei problemi politici, però, a me pare che ci sia proprio una difficoltà ideologica sul come il cristiano debba testimoniare nella storia la sua visione del mondo. Io sono abbastanza pessimista sul successo di un disegno che vede il cristiano come martire che accetta la propria sconfitta pur di non perdere la propria identità, perché, pur avendo una sua validità, è contraddittorio, impolitico, forse troppo intellettualistico e teologizzante, mentre oggi, purtroppo, la catalizzazione politica deve essere molto più immediata, visibile, facile. Mi convincono però poco anche i cattolici che si schierano tranquillamente a sinistra; che cioè tendono a risolvere la loro testimonianza cristiana nel cercare consenso a un’etica della solidarietà come se tutto si risolvesse in quello.
E’ chiaro che, politicamente, un cristiano non può che auspicarsi uno Stato che si faccia carico dei problemi della solidarietà; politicamente è lapalissiano che non si possa cercare nient’altro, niente di diverso. Qualcosa di più significherebbe veramente un “grande inquisitore”, significherebbe la pretesa di dominare la società, di imporre ciò che non può essere imposto, cioè di volere cristianizzare ciò che non deve essere cristianizzato con questi mezzi. Tuttavia in questa logica c’è il rischio di una abdicazione alle ragioni del secolo, c’è l’incapacità di mantenere un’alterità nei confronti di quel che è la società, il mondo politico, la stessa struttura dello Stato. Oggi, infatti, il cristiano che si schiera a sinistra in qualche modo accetta una logica di tipo liberale, che confina il cristianesimo nell’interiorità della propria coscienza, e questo mi sembra un pericolo fortissimo perché tende a risolvere il rapporto del cristiano con la politica soltanto dal punto di vista tecnico, nella gestione più o meno brillante della ricchezza, nella capacità di aiutare gli emarginati e cose di questo genere. Tutto questo ci deve essere, è evidente, ma possiamo, non solo in quanto cristiani, ma anche come cattolici, accontentarci di coltivare il nostro Dio all’interno della coscienza, cioè di non essere in qualche modo un segno visibile di qualcosa di diverso dal punto di vista politico? In questa logica il pericolo è quello di ridurre a tecnica sociale, a gestione della ricchezza, quello che in realtà è qualcosa di diverso, una voce stonata all’interno del secolo.
Ma la sinistra non garantisce più questa irriducibilità, questa alternativa al sistema. Per arrivare ad un paradosso: concretamente ...[continua]
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