Il tema di cui vorremmo parlare con lei è quello del senso civico, della possibilità che il cittadino, anche a livello individuale, svolga un’attività pubblica, e del rapporto che ci può essere fra l’impegno del cittadino e la città com’è diventata oggi, con la sua conformazione urbanistica.
L’argomento è legato alla centralità degli spazi pubblici, che sono ciò che denota la città. La città è fatta di spazi pubblici, altrimenti sarebbe o aperta campagna o proprietà privata organizzata in vario modo. Solo gli spazi pubblici determinano la città, le sue funzioni di integrazione, di connessione, di coesione, le funzioni di scambio, di governo, di legittimazione, eccetera. Qual è il problema? Che i forti processi di scomposizione e di frammentazione dei sistemi urbani e sociali attuali, frutto di dinamiche globali, hanno comportato una fortissima privatizzazione e accentuazione dell’individuo come singolarità e, quindi, un arretramento nella fruizione degli spazi pubblici, meno presidiati dal cittadino.
Secondo me il problema del degrado, della difficoltà di presidiare gli spazi pubblici, di manutenerli, ha come antecedente questa migrazione nel privato di attività, di rapporti, di contatti, e anche di lavori, perché si lavora anche a casa.
Questo, quindi, è un problema endemico che sarà difficile affrontare, tanto più in una situazione in cui le risorse si riducono. Aggiungiamo il fatto che per popolazioni urbane come immigrati e studenti, che non hanno alternative all’uso dello spazio pubblico, tutto questo può avere conseguenze sulla coesione sociale.
La cura dello spazio pubblico diventa quindi un problema fondamentale proprio per bilanciare processi di disgregazione.
Un problema grave, che tende ad aggravarsi, a fronte di risorse che si riducono...
Sì, sembrerebbe una missione sostanzialmente impossibile e probabilmente lo è. Ma se c’è una speranza di poterlo aggredire, ha come premessa indispensabile quella di inquadrare bene il problema, capendo che cosa è in gioco, in modo da poter distribuire diversamente gli interventi e, pure, di agire sui mezzi e sulle forme di intervento.
Così come nel welfare in generale, se c’è una cosa temibile è questa specie di gioco a somma zero: se il pubblico arretra, rimane uno spazio vuoto, sostanzialmente primitivo, e allora chi ha quattrini se la caverà per conto suo, sennò pazienza; se il pubblico arretra, cioè, arretra la garanzia del welfare e della protezione dei diritti sociali. La via d’uscita è proprio quella, invece, di scoprire, promuovere e sostenere altre forme di sostegno e di possibili soddisfazioni dei diritti sociali che non dipendano dallo Stato. Ecco, anche per quel che riguarda gli spazi pubblici, ritengo che il problema sia questo: vedere quali altre presenze e quali altre forme di intervento possano esserci.
Pensa a risorse del privato?
Sì, le altre forme d’intervento sono del privato. Ma non parlo tanto della funzione che svolge un privato come le fondazioni bancarie, che hanno per missione di occuparsi di queste cose e dispongono di risorse. A questo proposito, fra l’altro, non bisogna dimenticare che mezzo paese è privo di fondazioni, a sud di Roma ce ne sono solo tre, e anche di mezzi ridotti, mentre nella sola Emilia-Romagna ce ne sono 18 o 19, delle quali alcune piccolissime, altre piccole, alcune medie e alcune grosse.
Mi riferisco piuttosto a due importanti aree, quella del "privato-privato”, proprio del singolo intendo, e quella del "privato comunità”. Sono aree nelle quali, a mio avviso, possono essere individuate con accortezza delle risorse, delle opportunità. Alcune di queste opportunità dipendono da dati puramente egoistici, ma viva l’egoismo se serve.
Per esempio: certamente c’è un interesse specifico del proprietario di un immobile a evitare che la sua area degradi. Quindi non vedo per quale motivo questa esigenza non possa essere messa a frutto del pubblico. Poi il modo e il come si può discutere.
Un altro esempio: così come esistono forme di contributo per raggiungere certi obbiettivi, ad esempio perché arrivi la metropolitana, non vedo il motivo perché anche il contrasto al degrado non possa comportare forme di cointeressamento del privato, che altrimenti si vedrebbe penalizzato nel valore del proprio patrimonio. Sia pure per un motivo egoistico, il cittad ...[continua]
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