Lei è stato tra i primi a denunciare gli effetti del ritorno alla Tesoreria unica presente nel decreto liberalizzazioni, che va a penalizzare proprio gli enti locali più virtuosi e mette a repentaglio lo stesso spirito del federalismo. Può spiegare?
Nel decreto liberalizzazioni c’è una norma che dovrebbe servire a favorire i pagamenti arretrati dello Stato. Questo è sicuramente un dato positivo. Lo Stato ha un debito di decine di miliardi di euro nei confronti delle imprese e, soprattutto in un periodo di crisi, un’accelerazione dei pagamenti è assolutamente urgente. Il problema è che, nell’ambito di questa norma, all’articolo 35 del decreto liberalizzazioni, viene previsto il ritorno alla cosiddetta Tesoreria unica. Si tratta di una questione abbastanza tecnica (e anche difficile da spiegare) che cerco di sintetizzare nel modo più semplice possibile. Il vecchio regime di Tesoreria unica prevedeva che tutti gli enti, Comuni, Province, Regioni, università, aziende sanitarie, eccetera avessero un conto corrente dedicato presso la Banca d’Italia.
Il regime della Tesoreria mista introdotto nel 1997 (per passare a regime nel 2000) stabiliva invece che gli enti pubblici (mantenendo un conto dedicato presso la Banca d’Italia per i trasferimenti diretti dallo Stato all’ente), per la gestione delle entrate proprie, potessero aprire un proprio conto di tesoreria presso una delle banche individuate attraverso le normali gare per l’affidamento di servizi.
Si tratta di un passaggio importante. In questi anni, infatti, tutti gli enti hanno ottenuto dalle banche tassi di interesse molto significativi, oltre a tutta una serie di servizi (di cui beneficiavano anche i cittadini) molto vantaggiosi e assolutamente impensabili con il vecchio sistema della Tesoreria unica.
Ora, il decreto liberalizzazioni sospende l’applicazione dell’attuale regime di tesoreria, consolidato ormai da oltre un decennio, per tornare al vecchio. Il Governo ha infatti disposto che entro il 29 febbraio gli enti locali dovevano versare il 50% della liquidità disponibile nel conto della Banca d’Italia per poi completare questa operazione entro aprile o giugno a seconda se ci sono degli investimenti in titoli.
Questo provvedimento rappresenta una grossa limitazione per le autonomie degli enti e va sicuramente controcorrente rispetto a tutta la legislazione che è maturata negli ultimi vent’anni, a partire dalla riforma del Titolo V della costituzione del 2001 che appunto riconosce l’autonomia di Comuni, Province e Regioni.
In questo modo viene privata del tutto l’autonomia finanziaria, con delle ripercussioni negative immediate sugli stessi bilanci degli enti, soprattutto quelli con maggiore liquidità, che non potranno più contare sugli interessi attivi dei depositi presso le tesorerie.
Oltre al fatto che le banche -private della liquidità degli enti- metteranno in discussione i contratti di tesoreria che oggi consentono di erogare mutui a tassi agevolati per i cittadini, o servizi aggiuntivi a costi ridotti per particolari categorie svantaggiate. Questo spiega anche le reazioni delle ultime settimane della generalità degli enti, al di là dell’appartenenza politica.
Perché è un provvedimento che pesa più sugli enti del Nord che del Sud?
Perché sono le amministrazioni del Nord ad avere più disponibilità in cassa. Al Sud purtroppo la maggior parte delle amministrazioni basa la propria attività sui trasferimenti dello Stato quindi opera già in gran parte in Tesoreria unica. Invece le amministrazioni del Nord, vivendo con risorse proprie, hanno una gestione finanziaria autonoma.
Nella relazione tecnica al decreto si iscrivono otto miliardi e seicento milioni circa. In realtà sono molti di più: sentendo le dichiarazioni dei vari responsabili delle banche la stima è attorno ai trenta miliardi. Un ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!