Federico Magnifico, classe 1925, appartiene a quella generazione di italiani che ha sempre fissato lo sguardo in avanti. Pur ancora pieno di impegni, trova il tempo per ripercorrere i momenti salienti della sua vita pubblica.

Quali sono le origini della tua famiglia?
Vorrei ricordare il carattere risorgimentale dei miei più vicini antenati: mio nonno Magnifico, di orgine pugliese, di Trani, sposò una Carnelli di Laveno, della famiglia dei fondatori della Ceramica di Laveno. I Carnelli erano tutti garibaldini e, fin da giovanissimi, combatterono le battaglie di Garibaldi. Il ramo materno della famiglia, Fracaro, era di Castelfranco Veneto, allora territorio austriaco. Il mio bisnonno disertò attraversando il Ticino a nuoto per unirsi ai piemontesi. Questi precedenti risorgimentali mi sono molto cari e ritengo abbiano influito sulla mia formazione.
I tuoi genitori dove si sono conosciuti?
Sia i Magnifico che i Fracaro abitavano in corso Genova a Milano. Il nonno Fracaro era una figura di spicco nel mondo bancario milanese ed era stato tra i fondatori della Banca Agricola Milanese che poi diresse per tutta la vita. La mamma, bionda, pare fosse molto bella. Il papà invece era nero, di origine meridionale. Il loro incontro rientra nei classici colpi di fulmine giovanili.
Quali scuole hai frequentato?
Frequentai la scuola elementare "Ruffini” di Porta Magenta e alcuni dei miei più cari amici di oggi risalgono a quel periodo. Il Ginnasio e il Liceo li frequentai al "Berchet” di via Commenda, in quanto la mia famiglia si era trasferita nella zona di Porta Romana. Il "Berchet” ebbe una forte influenza sulla mia vita, in quanto già negli anni del fascismo fu una scuola caratterizzata da un forte spirito democratico e antifascista. Tra i professori ricordo Prestigiacomo di Catania che, alla fine del Ginnasio, convocò un gruppo dei suoi studenti e disse che bisognava fare alla svelta perché la situazione politica, era il 1940, era oscura. Gratuitamente fece preparare due anni in uno a cinque di noi studenti e questo ci consentì di ottenere la maturità prima del 25 luglio 1943. Un altro professore che ricordo è Martinelli, professore di storia e filosofia, che ci educò all’antifascismo, quasi senza farsi accorgere. Un giorno entrò il preside che gli parlò in un orecchio. Martinelli sbiancò e dovette iscriversi al Partito fascista per non perdere il posto. Il distintivo, la "cimice”, lo mise sempre e comunque al contrario.
Chi erano i tuoi compagni?
Siamo ancora molto legati. Non siamo rimasti in molti, ma ci troviamo due volte all’anno. Tra di loro ricordo Bertani, Mattioli, Chiappano, Fioruzzi, Ceriani e Michele Ranchetti, il poeta. Siamo rimasti davvero amici.
Il fascismo come entrava nella vostra vita?
Come attitudine ed educazione, almeno nella nostra classe del "Berchet”, eravamo antifascisti. Ricordo di aver preso un gran pugno a un’adunata. Ma un discorso politico avvenne, per quanto mi riguarda, durante la terza liceo che frequentai al Liceo "Manzoni” di Lecco, in quanto eravamo sfollati nella nostra casa di Montevecchia in Brianza. Lì incontrai alcuni coetanei con i quali formammo un gruppo che svolse una piccola ma seria attività di cospirazione: ricordo i figli del pittore Aldo Carpi (uno dei quali morì a Mauthausen), i Berla di Merate e altri. Il gruppo faceva capo a Giustino Arpesani, noto esponente antifascista d’ispirazione liberale, che era parente dei Carpi. La nostra attività venne notata, tanto è vero che un giorno Raffaele Mattioli, padre del mio compagno Maurizio, chiamò mio padre e gli disse: "Ho visto il nome di suo figlio in una lista dei tedeschi. Lo faccia partire immediatamente per la Svizzera”. Attraversammo le montagne del Lago di Como nell’ottobre 1943.
Eri già iscritto all’Università?
No. Ricordo un incontro a Courmayeur con il famoso storico Alessandro Passerin d’Entreves che, mi disse: "Meglio un asino nudo, che un dottore in camicia nera”, convincendomi a non iscrivermi all’università. Feci così perdere le mie tracce allo Stato italiano.
Parliamo della Svizzera.
È stato un periodo molto importante. Sono stato, come tutti, in campo d’accoglienza a Lugano. Poi mi sono liberato.
Come?
Ho potuto dimostrare agli svizzeri che potevo mantenermi. Mi arrivavano un po’ di soldi ogni mese attraverso la Banca Commerciale, cioè Raffaele Mattioli, che alla fine della guerra non li ha voluti indietro. Nei campi ho conosciuto molti ebrei e da lì è iniziato il mio int ...[continua]

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