Pierangelo Schiera, docente di storia delle dottrine politiche, ha insegnato presso la Facoltà di Scienze politiche di Bologna e di Sociologia a Trento. è professore emerito dell’Università di Trento e professore onorario alla Humboldt-Universität di Berlino. è presidente della Fondazione Roberto Ruffilli. L’intervista, realizzata nella sede della Fondazione Ruffilli, che è l’appartamento in cui Ruffilli visse e morì, è stata pubblicata, in forma ridotta, nel mensile "Questa città”, edizione locale, di Forlì, di "Una città”.

Lei è stato amico fraterno di Roberto Ruffilli...
Lo conoscevo fin da quando avevo iniziato a lavorare in Università. Sia io che lui, infatti, e pure mia moglie, allora amica di entrambi, eravamo stati allievi di Gianfranco Miglio alla Cattolica di Milano. Roberto era più vecchio di me di cinque o sei anni, io sono arrivato lì dopo di lui, appena laureato in Giurisprudenza. Roberto invece si era laureato in Scienze politiche proprio con Miglio. Io conoscevo il professore da prima, ed era stato lui a consigliarmi Giurisprudenza invece di Scienze politiche, per poi "prelevarmi”. Allora era più facile, per i giovani bravi: mi sono laureato a settembre e a ottobre lavoravo già, con una bella borsa di studio, nella Fisa, la "Fondazione italiana per la storia amministrativa” fondata da Miglio. Devo dire che era tutto fantastico...
Quando sono arrivato, giovane e prepotente, Roberto lavorava già da qualche tempo in un altro istituto che si chiamava, e si chiama ancora, Isap, "Istituto per la scienza dell’amministrazione pubblica”, fondato anch’esso da Miglio qualche anno prima insieme con Feliciano Benvenuti, che era un grandissimo professore di diritto amministrativo; un veneto, di formazione cattolica; certamente si può dire che lui e Massimo Severo Giannini, che era invece laico, siano stati i due più grandi amministrativisti italiani. Ora, teniamo presente che il diritto amministrativo è importantissimo, anche in Italia: fondato da Vittorio Emanuele Orlando alla fine dell’Ottocento, con una serie di scuole dà vita a una genealogia molto ricca e interessante, anche perché, all’interno di questo sviluppo, c’è pure il fascismo.
Ecco, qual è l’importanza di Benvenuti? è quella di aver sempre cercato di trasformare la concezione del diritto amministrativo vigente in Italia, quello di impronta francese, autoritaria e centralistica, che regola l’azione dell’autorità secondo il principio della puissance publique, con i soggetti che non possono fare altro che subirla. Benvenuti credeva nella necessità, e nella possibilità, di concepire l’attività amministrativa come proveniente anche dal basso, in modo che gli stessi soggetti, i cittadini, potessero essere attori dell’azione amministrativa e concorrere alla formazione dell’atto amministrativo, cessando di esserne solo i destinatari mediante concessione. Si chiama non a caso "concessione”, "si concede”, le antiche costituzioni che venivano "concesse”: parola tremenda...
Prima, a proposito di Benvenuti, non ho detto a caso "di formazione cattolica”: come accade spesso nel campo del diritto i riformatori sono i cattolici, perché non essendo laicisti e non credendo nella puissance dell’Etat (poi, all’occorrenza credono in un’altra puissance, d’accordo) sono più liberi nel pensare il cambiamento.
Ora, attenzione, anche Miglio, pur nella sua caparbia intolleranza e cattiveria umana che sia io che Roberto, e lui molto più di me, abbiamo avuto modo di sperimentare, era intriso di questi temi. Miglio passa per essere un fascista, un leghista, ma quando parlava di federalismo, di autonomie, credeva fortemente in una politica che partisse dal basso, concetto sul quale innestava un realismo satanico, però intelligente. Secondo Miglio era inutile parlare di federalismo in astratto. Lui diceva: "Da Cuneo a Trieste c’è un’enorme megalopoli, un’unità produttivo-culturale, che chiamo Padania perché in mezzo c’è il Po; io vi dico che questa è una cosa seria”. Di qui, secondo lui, bisognava partire per andare a cercare altre zone altrettanto omogenee e metter su delle regioni che fossero dotate di senso e capaci di convivere in un quadro internazionale. Ricordo che stavo già a Bologna a insegnare, quando Miglio venne a trovarmi perché aveva un appuntamento con Fanti, all’epoca presidente della Regione. Era il ‘74, l’epoca in cui l’Emilia Romagna faceva pubblicità su Le Monde al "modello emiliano”. Fanti fu il primo da cui Miglio andò a proporre l ...[continua]

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