Lei ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle relazioni internazionali. Come vede oggi la situazione tra la Siria, la Libia, l’Ucraina?
Recentemente mi hanno intervistato ponendomi la questione: chi governa il mondo? Ho risposto: nessuno. Non c’è più una vera governance mondiale. Non esiste una comunità internazionale. C’è una società internazionale, nel senso che ci sono delle regole per il commercio, i trasporti, ecc., dopodiché ci sono delle comunità nazionali (ma anche subnazionali e transnazionali), religiose, fanatiche, ideologiche, ecc.
Chi è la comunità internazionale? L’Onu è un mélange instabile fin dalla sua origine, è composto di Stati, ci sono certo delle agenzie specializzate che fanno delle cose, ma non è un’istituzione democratica, inoltre da tempo si dice che bisognerebbe istituire una camera per rappresentare la società civile. Oggi il Consiglio di sicurezza è completamente paralizzato a causa del potere di veto dei membri permanenti: gli Stati Uniti mettono il veto a proposito di tutte le questioni che riguardano Israele, così la Cina e la Russia per le loro aree d’interesse. I francesi hanno lanciato l’iniziativa che i membri permanenti rinuncino al diritto di veto in caso di massacri di massa, ma non se n’è fatto niente e non credo che passerà.
Il mio maestro, Raymond Aron, distingueva tra sistemi eterogenei e omogenei. Sono omogenei quando gli stati riconoscono reciprocamente la loro legittimità, ed eterogenei quando ci sono dei contesti rivoluzionari per cui gli stati vengono organizzati secondo concezioni diverse, come è accaduto dopo la rivoluzione francese, sovietica, eccetera. Adesso il sistema è eterogeneo in senso ancora più generale, perché sono entrati in scena anche tutti questi attori non statuali: non solo Daesh, ma anche soggetti dell’ambiente finanziario. Ci sono sempre stati dei finanzieri, perfino dei pirati, ma adesso c’è la convergenza fra due fenomeni: la rivoluzione materiale, tecnica, a livello della comunicazione, la globalizzazione che ci avvicina tutti e una dinamica di contagio tra i vari conflitti, che pure sono frammentati. Ci sono queste forze in campo, economiche, ideologiche, eccetera, e c’è internet, la guerra cibernetica; insomma, il sistema è completamente eterogeneo e molto complicato.
Quando ero studente c’era un autore americano nato in Germania, Arnold Wolfers, che in Discord and Collaboration diceva che bisogna guardare alla "relationship of major tension”. Ebbene, qual è oggi la relazione di maggior tensione? Quella fra gli Stati Uniti e la Cina, tra l’Europa e la Russia, tra i sunniti e gli sciiti, fra i poveri e i ricchi?
Devo dire che io sono l’uomo più disordinato del mondo e quindi mi sento a mio agio in questa specie di disordine che corrisponde al mio modo di pensare. D’altra parte ora siamo tutti in questa situazione. Prendiamo la guerra in Siria, io non saprei che cosa dire: bisogna combattere contro l’Isis e però non si può negoziare con Assad... Mi hanno raccontato che Franz Josef Strauss, politico tedesco, una volta aveva convocato i suoi esperti per dirimere una questione spinosa e alla fine commentò: "I’m still perplexed but at a much higher level”.
Non sono mai stato capace di scrivere libri o articoli, però c’è stato un periodo negli anni Novanta in cui sono stato molto impegnato a favore dell’intervento in Yugoslavia e contro la guerra in Iraq, ma all’epoca sapevo più o meno da che parte stare. Oggi è molto più difficile.
Alla fine, come mi accusano i miei studenti, quello che faccio è alzare il livello di perplessità!
Lei ha studiato a lungo i tanti dilemmi dell’intervento, non solo se intervenire o meno, ma anche il tipo di intervento, il rapporto tra l’umanitario, il politico e il militare, tra il breve e il lungo termine...
Vincent Desportes, generale francese, già direttore della Scuola di Guer ...[continua]
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