Mohsen Farsad è nato a Teheran, ha studiato in Germania e in Italia. Oggi è primario reggente della Medicina nucleare di Bolzano, città in cui vive.

Hai lasciato il tuo paese, l’Iran, giovanissimo, durante la guerra. Puoi raccontare?
Sono nato a Teheran, anche se ci sono rimasto solo tre mesi; mio padre, che era medico, si è poi trasferito a Kerman per motivi professionali. Lì sono rimasto fino ai tredici anni.
Il periodo prima della rivoluzione è stato molto felice; la moneta iraniana valeva tantissimo, i benestanti iraniani erano ricchi anche in Europa. Ricordo che quando i miei tornavano dai loro viaggi ci portavano sempre dei regali... Durante il periodo dello Scià chi aveva studiato, medici, avvocati, ingegneri, e chi aveva la terra stava molto meglio del resto della popolazione. Noi eravamo tra i privilegiati.
Dopo la Rivoluzione del 1979 è cambiato tutto.
All’epoca della mia partenza, nel 1984, cinque anni dopo, non dico che i miei fossero diventati poveri, ma certo non erano più benestanti, anche andare in un piccolo albergo all’estero era diventato proibitivo. È stato un cambiamento improvviso, anche traumatico: dall’oggi al domani, anche se eri la stessa persona in qualche modo valevi di meno.
La situazione è peggiorata ulteriormente con la crisi degli ostaggi americani e poi con l’inizio della guerra con l’Iraq. A quel punto gli iraniani erano visti molto male in tutto il mondo, venivamo etichettati come islamisti, come "quelli che hanno cacciato gli occidentali”. Mio fratello e io, che ci eravamo trasferiti all’estero, eravamo visti come figli dei terroristi. È qualcosa che ti segna abbastanza: scopri che tu sei anche quello che gli altri pensano di te.
Riguardo la Rivoluzione, va detto che la fascia più povera della popolazione ne ha beneficiato. Recentemente parlavo con un signore che lavorava la terra per i miei nonni, e lui non aveva esitazioni a dire che andava molto meglio adesso. Questo è un dato di fatto: oggi moltissimi piccoli villaggi hanno l’elettricità, l’acqua... Molti dicono che questi progressi ci sarebbero stati anche senza Khomeini. Non lo so. Grazie alla Rivoluzione molti poveri hanno avuto la terra, e quindi una possibilità. È complicato. Anche il velo: io non posso essere favorevole, però è anche vero che tante ragazze hanno potuto studiare perché col velo i padri permettevano loro di andare all’università.
Com’è maturata la scelta di lasciare il paese?
La scelta non è stata nostra. Mio fratello e io eravamo piccoli e non ci rendevamo conto dell’enormità della cosa. Hanno deciso i nostri genitori, tuttora spesso ne discutono. Mio padre dice a mia madre: "Li hai mandati all’estero e adesso noi siamo soli, non abbiamo nessuno”. Lei risponde: "Sì, ma se fossero rimasti in Iran, forse non sarebbero ancora vivi”.
Il problema maggiore per i giovani iraniani di allora era infatti il rischio di essere mandati a combattere. Spesso i ragazzi partivano addirittura volontariamente, questo va detto. Alcuni dei miei compagni di scuola sono partiti di loro iniziativa per il fronte. I miei avevano paura che, influenzati dai nostri amici, decidessimo anche noi di arruolarci.
Non so fino a che punto uno possa immaginarsi quanto fosse intensa e pervasiva la propaganda: tutta la stampa e la televisione facevano vedere i morti, martellavano sul fatto che "il paese va difeso”. I più giovani venivano usati per sminare i campi. Ne sono morti tantissimi. Gli iraniani avevano molta meno attrezzatura militare degli iracheni e allora cercavano di sopperire con i soldati. Ecco, i miei temevano che diventassi uno "sminatore”.
In seguito ho incontrato alcuni di quegli ex compagni di scuola che mi hanno detto, un po’ scherzando, un po’ no: "Se fossero andati via tutti come te, cosa ne sarebbe stato del nostro paese?”. Tuttora non so come rispondere a questa domanda. Anche definire la mia "patria” per me è difficilissimo. Però capisco che chi è sempre vissuto in un territorio che viene attaccato militarmente possa prendere la decisione di difenderlo. Il problema è che si viene strumentalizzati, si combatte per ideali falsi, si viene manipolati. Anche chi è rimasto per difendere il proprio paese ne è stato segnato, spesso ha visto cose inimmaginabili. L’ex marito di mia cugina è andato a combattere e dopo la guerra era diventato un’altra persona, si sono separati.
Ma anche chi va via è condizionato dalla guerra. Non è vero che chi parte si salva.
I vostri geni ...[continua]

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