Serenella Antoniazzi, 47 anni, assieme al fratello Alessandro, gestisce a Concordia Sagittaria (Venezia) l’Aga Snc., piccola azienda di levigatura del legno. Il libro di cui si parla nell’intervista è Io non voglio fallire, Nuovadimensione, 2015.

Sei entrata nell’azienda di famiglia giovanissima.
Sì, a 16 anni. L’azienda è nata nel 1972 e all’epoca lavorava per una ditta di Reggio Emilia, faceva tutto l’arredamento in ferro e alluminio per gli ospedali. Poi siamo passati ai letti d’ottone e infine al legno. Il lavoro aumentava. Io avevo fatto due anni di segretaria d’azienda, ma quell’estate ci fu un’esplosione di commesse, così nel momento in cui dovevo fare l’esame per passare alla scuola per arredatori di Cordenons, mi fu chiesto di fermarmi. All’inizio fu un trauma, presto però ho iniziato a sentirla anche un’impresa mia. Poi entrò anche mio fratello, che lavora con me da trent’anni; lui ama più seguire le macchine, gestire la produzione. Io lavoro in produzione, ma seguo anche l’amministrazione e i clienti. Quindi è diventata un’azienda al femminile.
Devo dire che, dopo quello che è successo, se tornassi indietro non rinuncerei a studiare. In questi ultimi anni mi è mancata tantissimo l’istruzione, perché a volte non conoscere il significato di una parola ti costringe a stare zitta. Poi magari te la segni sulla mano e quando vai a vedere sul vocabolario ti dici: ma che cavolo, non ho saputo rispondere invece era una sciocchezza! In tutta questa vicenda, studiare le leggi, fare ricerche, è stata dura perché avevo sempre il vocabolario sotto mano per capire quello che stavo leggendo. è stata una battaglia doppia, sia contro quello che stava accadendo sia contro la mia ignoranza.
Puoi spiegare qual è il vostro lavoro?
Noi ci occupiamo della levigatura di qualsiasi elemento per mobile, dal tavolo al comodino; ora stiamo facendo ante per cucine. La poliesteratura è la verniciatura bianca, abbastanza morbida, ma compatta, che isola bene, proteggendo il pannello che così resta integro, non viene danneggiato dall’umidità. Questi sono prodotti di qualità, parliamo di una cucina che dura trent’anni.
Ecco, una volta poliesterati, i pezzi arrivano da noi, e noi con i giusti tappini e la carta abrasiva togliamo tutte le imperfezioni di superficie, lasciando una base perfetta, senza buchi, senza brufoli, completamente liscia al tatto. Sono i nostri polpastrelli a misurare il risultato. Io non ho più le impronte digitali!
Dopo l’ultimo controllo il pezzo va alla verniciatura, che deve produrre un risultato perfetto perché poi il pezzo viene montato. Se vado a una mostra del mobile o se vedo qualche pezzo d’arredamento, io sento subito la superficie. Le mani sono i nostri occhi. Può sembrare un lavoro semplice, in realtà ci vogliono anni per scegliere la carta giusta: una grana grossa può produrre un’incisione che a occhio nudo casomai non vedi, però una volta che vernici con il nero lucido si vede eccome! Sono tutte tecniche che impari con il tempo. Qui facciamo un lavoro fino, di perfezione. Abbiamo anche le serie economiche, ma sempre meno. Il mercato italiano è quasi sparito e l’estero richiede qualità, infatti i bancali sono tutti certificati, nel senso che l’intera filiera garantisce che non è stato usato lavoro minorile, né legni, prodotti o materiali che arrivano da foreste protette.
Il nostro cliente principale oggi consegna in Germania, Inghilterra, Francia e Russia.
Oggi poi va molto il moderno, ma io ho iniziato con i tavoli Versailles. Hai presente tutti quei salotti con i ricci... c’era da diventare matti. E poi le sedie in camera da letto, quelle di velluto che avevano tutto il ghirigoro, l’intarsio. Ecco io ho imparato su questo tipo di mobile. Come si fa? Con le mani. Giochi con la carta, la pieghi, e coi pollici, le dita e i tappi di legno, ti ingegni. Ho carteggiato bare in radica, anche poliuretano espanso per gli Emirati Arabi: con la pila e la lente di ingrandimento si cercavano imperfezioni, buchini, perché una volta data la vernice doveva essere impeccabile.
Nel 2008 è arrivata la crisi.
In quel momento la scelta giusta sarebbe stata quella di licenziare un paio di persone. Qui siamo quasi tutte donne, sono tanti anni che lavoriamo fianco a fianco, beviamo il caffè assieme, ci confidiamo. Chi scegli? Alla fine abbiamo deciso di fare qualche ora in me ...[continua]

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