Kwame Anthony Appiah, di madre inglese e padre ghanese, ha trascorso l’infanzia a Kumasi, in Ghana, dove ha studiato alla University Primary School della Kwame Nkrumah University of Science and Technology, per poi svolgere un dottorato in Filosofia presso il Clare College dell’Università di Cambridge. Filosofo e storico della cultura africana, negli anni si è occupato di  identità, appartenenza e cittadinanza, e teoria morale. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Cosmopolitismo. L’etica in un mondo di estranei, 2007. Già docente presso le Università di Yale, Cornell, Duke, Harvard e Princeton, attualmente insegna filosofia e legge presso la New York University.

Di cosa parliamo quando parliamo di cosmopolitismo?
Io penso al cosmopolitismo come a una specie di universalismo, che si fonda sull’idea che io sono un cittadino del mondo, e che anche gli altri sono cittadini del mondo, e infine che i cittadini hanno delle responsabilità l’uno verso l’altro. Pertanto tutti sono importanti, tutti contano, non solo i membri della mia polis, della mia nazione; come direbbero i confuciani, siamo tutti sotto lo stesso Cielo. Questo però non è sufficiente. L’altro dato che caratterizza il cosmopolitismo è che, non solo siamo tutti importanti, ma siamo anche diversi: ciascuno vive nella sua comunità, con le proprie abitudini. I cosmopoliti non desiderano abolire o abbandonare la dimensione della comunità. C’è una branca dell’universalismo che ci vorrebbe tutti uguali, che pensa a una cittadinanza globale in cui tutti sono identici.
La tradizione cosmopolita, invece, rivendica un certo tipo di impegno morale verso tutti, e allo stesso tempo accetta che le persone siano, e rimangano, differenti. Io adotto la formula "universalismo più differenza”. È questo che rende il cosmopolitismo una forma specifica dall’universalismo.
A proposito di differenze: cosa succede quando le abitudini, o perfino i valori morali, entrano in conflitto?
Se partiamo dall’assunto che tutti contano, sicuramente non possiamo accettare una "differenza” che neghi questo principio, cioè che neghi l’eguaglianza, i diritti, l’autonomia. Dunque c’è intanto questo limite, questo criterio per identificare le differenze che non sono accettabili e che vanno combattute. Questo però è un caso semplice. Non voglio dire che sia facile nella pratica, perché potrebbe comportare dei conflitti, ma almeno in teoria è un caso relativamente facile. I casi interessanti sono quelli in cui incontri delle forme di diversità che sono perfettamente disponibili ad accettarti, ad accettare la tua esistenza e però vogliono cambiare il mondo in un modo che a te non piace; in un modo che -sospetti- potrebbe mettere in discussione il fatto che anche tu, come loro, fai parte del mondo.
Allora, il primo tipo di nemico è quello che in un certo senso non rispetta l’universalismo morale, ma il nemico più comune, e più interessante, è quello che non condivide con te il repertorio di differenze accettabili e inaccettabili. Le persone spesso dicono: io sono ben disposto verso tutti, accetto le differenze, ma... Ecco, qui i ma possono essere tanti.
Per esempio: ma non accetto che mettano in atto certe pratiche sui loro figli. Attenzione, non solo sui miei figli, ma nemmeno sui loro figli. Ecco, quando sostengo che il cosmopolitismo si può sintetizzare nella formula "universalismo più differenze” evidentemente non voglio dire che tutte le differenze siano legittime. Ci sono società in cui i bambini subiscono pratiche che noi riteniamo sbagliate e crediamo di avere dei buoni argomenti a nostro favore.
A quel punto la questione diventa: cosa si fa quando percepiamo che ci sono delle differenze che proprio non possiamo lasciar correre?
Il cosmopolitismo si fonda anche sul rispetto dell’autonomia morale altrui. Questo significa che prima di intervenire nelle vite degli altri, perché pensiamo che ci sia qualcosa di sbagliato nei loro comportamenti, dobbiamo cercare di capire cosa stanno facendo. Non basta lanciare un’occhiata da lontano e dire: "Beh, io non lo farei mai”. Dobbiamo tentare di comprendere cos’è che davvero loro pensano di star facendo. Nel caso delle mutilazioni genitali femminili, per esempio, è importante definire bene di cosa si tratta. Ci sono pratiche orribilmente mutilanti e altre poco più che simboliche, e se pure queste ultime continuano a non essere di nostro gradimento, può essere ...[continua]

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