Come nasce quest’esperienza di vita comunitaria?
Serena. Sono nata a Gambettola, un piccolo paese della Romagna da cui mi sono spostata per frequentare l’università, precisamente il corso di laurea in Scienze politiche con indirizzo "sviluppo e cooperazione internazionale” a Bologna. Studiando soprattutto storia, politica e le dinamiche che sostengono il nostro sistema economico, ho sentito la necessità di staccarmi da tutto questo. Ho pensato fin da subito che avesse molto senso tagliare questa catena ingiusta verso i popoli e le terre sfruttate del Sud del mondo. Noi abbiamo studiato questi temi per poter poi lavorare nella cooperazione, nelle Ong. In realtà la cooperazione internazionale mi ha molto deluso, ho scoperto cosa c’è dietro: Onu, banca mondiale, fondo monetario, eccetera, e ho deciso che non volevo farne parte, perché mi sembrava fondamentalmente una sorta di neocolonialismo e basta.
Allora, se non si vuole dipendere da un supermercato, da un’economia di grande distribuzione, l’unica possibilità è coltivarsi il proprio cibo, autoprodursi tutto quello di cui si ha bisogno e cercare di essere liberi almeno rispetto al cibo.
Dopo la laurea triennale, il percorso classico prevede, quasi obbligatoriamente, la frequentazione di un master; tutti ti inculcano questa idea. Anche la mia famiglia ha molto insistito perché continuassi a studiare, allora mi sono iscritta a un master in Inghilterra sull’economia alternativa.
Siccome mi sono laureata a dicembre e il master cominciava solo a settembre dell’anno successivo, ho deciso di prendermi questo tempo per viaggiare. Già l’ultimo anno dell’università l’avevo trascorso in Erasmus in Inghilterra; lì avevo conosciuto il Transition movement, il movimento fondato da Rob Hopkins per l’emancipazione dalla dipendenza dal petrolio e per promuovere l’autoproduzione di energia e cibo così da avere un impatto zero sull’ambiente. Il mio professore di economia dell’ambiente ce ne aveva parlato e mentre ero in Inghilterra a seguire una conferenza internazionale per la mia tesi, ho conosciuto un ragazzo messicano, oltre a tanta gente proveniente da tutte le parti del mondo che mi ha parlato della transizione e della permacultura. Questo ragazzo messicano mi ha poi invitato in Brasile dove faceva corsi sulla permacultura e ho deciso di accompagnarlo. Tra l’altro sono partita molto volentieri perché mi ero anche un po’ innamorata di lui. Sono rimasta là a lungo, ho frequentato varie comunità e ho seguito molti corsi. Mi sono avvicinata all’agricoltura naturale, alla costruzione con terra e paglia, a forme di comunità e convivenza diverse da quelle a cui ero abituata.
A un certo punto però ho sentito il desiderio di fare un’esperienza mia; conoscevo e partecipavo ai progetti degli altri, facevo la volontaria, imparavo molte cose; ecco, mi ero stancata di fare l’orto degli altri. Ho capito che volevo avere il mio orto e anche crearmi una base per costruire una mia famiglia. Io desidero avere molti figli e vorrei che potessero crescere in un posto dove possono raccogliere da un albero una pesca non trattata. Ma per piantare gli alberi da frutto e poi raccoglierne i frutti ci vogliono molti anni.
Mi trovavo davanti a un dilemma: la mia indole mi suggeriva di continuare a viaggiare perché è un modo di vivere molto coinvolgente, attraente, conosci tante persone, sperimenti una bella libertà, vivi di musica, di artigianato, comprendi molte cose. Una parte di me, invece, mi chiamava a mettere radici e a costruire qualcosa di concreto e di mio.
Quindi all’Inghilterra avevi rinunciato...
Serena. Sì, dopo quei primi mesi in Sudamerica ero tornata a casa, mi ero cancellata dal master e avevo cominciato ad affrontare la lotta con i miei genitori, che tuttora non è risolta.
Ho spiegato ai miei genitori che volevo studiare e fare esperienza di permacultura per poterla poi praticare. Per me era importante approfondire la conoscenza in questo campo. Non volevo chiudermi in un’università a studiare sui libri. I miei naturalmente si sono opposti e hanno cercato in tutti i modi di convincermi a cambiare idea e piani, hanno fatto delle tragedie, ma per quanto io sia molto legata a loro, non sono riusciti a convincermi. Da una parte, certo, non li volevo e non voglio ferirli e dall’altra però volevo as ...[continua]
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