Tu sei favorevole alla riforma dei cicli e hai partecipato anche alla sua preparazione. Puoi spiegarci innanzitutto la “filosofia” della riforma?
Innanzitutto va detto che per la prima volta una riforma della scuola non parte dalla necessità di affrontare un problema esclusivo della scuola, ma di tutto il paese. Infatti i princìpi fondamentali della riforma sono già scritti nell’accordo del 1996 e nel patto di Natale del 1998.
Qual è il problema del paese da cui si è partiti? E’ il basso livello di preparazione culturale e professionale dei lavoratori italiani, che sta diventando il limite principale allo sviluppo del paese. Fra i paesi dell’Ocse, e non solo dell’Europa, quindi, l’Italia ha la minor percentuale di diplomati; ha il più alto numero di lavoratori senza licenza dell’obbligo; ha il minor numero di laureati sul totale della forza lavoro occupata, il 7% contro il 13% medio degli altri paesi europei.
Ora, questa situazione era sopportabile finché siamo stati il paese delle produzioni a basso costo e a basso valore aggiunto, il paese dell’arrangiarsi; e teniamo presente che sono state fatte pure cose splendide, anche da un punto di vista produttivo, come i distretti industriali e lo sviluppo straordinario della piccola impresa. E però ora bisogna chiedersi se un paese fatto in questo modo potrà reggere la nuova fase della competizione internazionale, in cui conterà, invece, la capacità d’innovare, di cambiare, la capacità di immettere qualità nei prodotti e nei processi produttivi, e, anche, nei servizi. Certo, si potrebbe anche tentare di competere affrontando la questione dal versante del costo del lavoro e dei diritti, facendo, cioè, dumping sociale, pagando meno la gente e togliendo diritti, ma io credo che questa in realtà non sia un’alternativa. A parte che dovremmo decidere di stare nel mondo perché riusciamo a fare cose mediocri a costi più bassi degli altri; a parte il fatto che, ovviamente, noi come sindacato non ci potremmo stare perché vorrebbe dire sparire, quella è comunque una via impraticabile, perché per quanto si possano ridurre il costo del lavoro e i diritti, ci sarà sempre qualcuno un po’ più a est e un po’ più a sud che su quel terreno ci supererà.
Quindi non vedo alternative alla ricerca della qualità, dell’innovazione.
Allora, dentro un’idea di competitività che salvi i diritti, che salvi la democrazia, che cerchi di far vivere la gente in maniera decente, i livelli d’istruzione e del sapere delle persone che lavorano diventano un elemento decisivo. Non ci si può più permettere di avere un così basso numero di persone scolarizzate all’interno dei processi produttivi e nei servizi.
Credo che siamo stati il primo sindacato al mondo che ha cominciato la discussione sull’occupazione e lo sviluppo non dai livelli salariali e nemmeno dalla politica fiscale o industriale, ma dalla scuola. I primi due capitoli del patto di Natale sono dedicati alla scuola, alla ricerca e all’università. E’ stata una scelta importante finalizzata agli obiettivi di fare arrivare l’80% dei giovani italiani al diploma di scuola secondaria superiore; di coinvolgere, comunque, tutti i giovani fino ai diciott’anni in percorsi formativi; di dare al nostro paese un sistema serio di educazione permanente e di formazione continua.
La scuola italiana, che pure ha tanti meriti e tante virtù, è una scuola che ha disperso un numero troppo alto di studenti e di ragazzi.
Con la riforma dei cicli per la prima volta si cerca, superando l’insofferenza verso la formazione professionale -che è soprattutto della sinistra, va detto- di affermare l’idea di una scuola per tutti e il più possibile uguale per tutti, il che, attenzione, significa una scuola anche molto diversificata, perché per riuscire a tenere tutti in formazione bisogna dare risposte adeguate al proprio territorio, alle persone in carne ed ossa che alla scuola si rivolgono.
Questa è un po’ l’idea alla base della revisione dei cicli scolastici.
Ma perché il primo ciclo unitario?
Perché è proprio nel passaggio tra l’elementare e la media che si registrano le rotture più cariche di conseguenze, con perdita di stima di sé e difficoltà crescenti. Non parlo ancora di evasione scolastica, perché fino alla terza media ci arrivano, ma del fatto che all’interno di questa scuola si costruiscono dei veri e propri stigma. E questo man mano che si scende nella scala ...[continua]
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