Quando hai iniziato a lavorare?
A 17 anni, lavoravo con mio padre che aveva una falegnameria, avevo fatto i tre anni della scuola professionale per falegnami proprio in vista di questo lavoro. Quando, per varie vicissitudini, mio padre ha chiuso, ho fatto un po’ di domande. Era il 1989, la Fiat faceva le ultime grosse assunzioni e io sono riuscito ad entrare all’Iveco come addetto alla manutenzione degli impianti. Poi, con la politica delle esternalizzazioni del ‘99, sono passato alla Comau Service. Comau fa impianti di produzione per il gruppo Fiat, il Service si occupa della manutenzione all’interno delle officine del gruppo. Lavoro nello stesso luogo e faccio lo stesso tipo di lavoro, ma sono dipendente di un’altra azienda.
Quando io sono entrato all’Iveco, come succede a tutti i giovani, mi avevano in un certo senso gasato dicendo che avevo prospettive e potevo fare carriera, anche perché ero entrato con una mentalità lavorativa diversa, che era ancora quella dell’artigiano. Lavorare nella grande industria in un certo senso atrofizza l’intraprendenza e la voglia di conoscere e di approfondire, io invece nel giro di pochi anni ero operatore, che è quello che gestisce tecnicamente la squadra. Poi mi sono scontrato con un caposquadra nuovo e da lì ho iniziato lo scontro con la realtà del mondo Fiat, dove l’intraprendenza va bene se ti viene richiesta, quando non ti viene richiesta non va più bene.
Cosa succede concretamente?
Ad esempio nella gestione della squadra potevano presentarsi alcuni problemi per cui non riuscivi ad avere delle efficienze produttive. Ricordo che eravamo in una fase particolare, stavano togliendo alcune produzioni dalla fabbrica e spostavano sulla meccanica gente che aveva sempre fatto carrozzeria in linea di montaggio. Lavorare su macchine utensili culturalmente è tutta un’altra cosa, perché devi avere qualche minima nozione di matematica per lavorare nelle bielle o con l’albero motore, non si tratta solo di avvitare il bullone, devi controllare perché il pezzo non va bene, controllarti le quote, ci vuole un po’ di dimestichezza. Poi se non hai una cultura te la puoi creare lavorando, ma c’era gente di 40 o 50 anni che non aveva voglia di affrontare questo salto; lo facevano, ma senza impegno. Perciò per chi gestiva la squadra c’erano dei grossi problemi, dovevi continuamente correre a dare assistenza a questi lavoratori e quando, a fine giornata, non c’erano le produzioni e ti scontravi col capo, tu gli spiegavi i problemi degli operai. Mi ricordo che un caposquadra mi ha risposto: “I lavoratori non vanno giustificati, vanno obbligati”. Su questo è iniziato lo scontro vero e proprio e il mio rifiuto per il lavoro della fabbrica. Allora, era il 1994, ho deciso di iscrivermi alla scuola serale per geometri e, nel giro di un anno o due, mi sono iscritto anche al sindacato.
Perché hai scelto geometra?
Per avere più sbocchi fuori dalla fabbrica, il geometra ha un raggio di possibilità che vanno dall’edilizia, al diritto, ai lavori impiegatizi.
Avrei potuto scegliere perito meccanico o elettronico o disegnatore grafico, invece ho scelto qualcosa di più vicino a quello che facevo prima, la falegnameria. La prospettiva dell’università ce l’avevo, poi, preso il diploma, ho deciso di riposarmi un anno prima di ripartire, ma la pausa mi ha tagliato le gambe. Intanto si erano susseguiti il fidanzamento, il matrimonio, la casa. Spero di riuscire a iscrivermi più avanti, adesso non ne ho né la voglia né la forza fisica. All’inizio mi sosteneva una grossa voglia di riscatto rispetto alla fabbrica, poi è diventata una questione più personale, che mi interessava e mi gratificava. Se non fosse stato così non ce l’avrei fatta, facevo il turno centrale, dalle otto meno un quarto alle quattro e un quarto, alle sette entravo a scuola per uscirne alle undici, ci andavo anche il sabato pomeriggio.
Io avevo fatto una scuola regionale parificata dove c’erano poche materie, alcune pratiche e poi l’italiano, la matematica, ma proprio a livelli base. Alle serali ho riscoperto un’attitudine allo studio che pensavo di non avere, una facilità di apprendimento mai verificata, e poi ho scoperto materie che non avevo mai studiato e mi piacevano moltissimo: il diritto, la storia …
Invece, rispetto alla scelta del sindacato, tu venivi già da un ambiente familiare politicizzato?
Sì, mio padre ...[continua]
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