Khatry Beirouk, 39 anni, è nato a El Aaiún, nel Sahara Occidentale. Laureatosi in Architettura a Cuba e poi in Ingegneria, vive negli Usa dal 1994; oggi lavora a Baltimora come Senior Software Engineer per una società di computer.

Avevo 11 anni quando sono arrivato in questo campo. Prima vivevamo in quello che si chiamava Sahara Occidentale, ovvero Sahara spagnolo. Ho vissuto lì la mia infanzia, fino al 1975, quando la Spagna se ne andò e i Marocchini con la “marcia verde” invasero il paese e io fui costretto a fuggire.
Io sono arrivato qui da solo, i miei genitori sono rimasti là; quando sono venuto via i marocchini erano già a El Aaiún, la città in cui vivevo.
Allora dicevano che il Marocco arruolava nell’esercito anche ragazzi molto giovani; li preferiva per combattere la guerra del deserto, schierandoli contro altri saharawi. Così mia madre mi spinse ad andare via: non poteva tollerare l’idea che mi prendessero nell’esercito marocchino.

Mio padre da quel giorno non l’ho mai più incontrato; non può lasciare il paese, non gli danno il permesso; invece mia madre l’ho rivista in Spagna, ma solo recentemente, dopo più di 20 anni.
L’incontro con mia madre è stato molto strano: lei non aveva più l’aspetto che ricordavo… Naturalmente immagino neanch’io, dopo tutti quegli anni! Comunque ricordo che quel giorno ero con degli amici all’uscita dell’aeroporto, quando è arrivata lei ha chiesto a una delle mie sorelle: “Qual è lui?” e appena ho sorriso ha detto: “Ecco, quello è lui!” perché ha visto qualcosa nel mio sorriso. Ma dall’aspetto non mi avrebbe riconosciuto.

Qui nel deserto, all’inizio, è stata veramente dura, e per fortuna io almeno avevo le mie sorelle maggiori, che mi hanno fatto da madre, si sono prese cura di me.
Ad altri bambini è andata ben peggio perché casomai avevano i fratelli nell’esercito, e dunque stavano con delle zie o degli zii, parenti vari… Per loro è stata più dura.
Certo è che la mia infanzia è finita nel momento in cui sono dovuto fuggire, sai, la guerra: si dice che un ragazzo diventa uomo, se la guerra non lo ammazza prima.

Cresciuto un po’, sono andato a studiare a Cuba. Molti dei ragazzi o ragazze di qui vanno a Cuba per studiare. Mentre la Spagna accoglie solo una piccola quota di studenti, Cuba accoglie tutti; c’è una specie di internato, in cui noi saharawi viviamo e studiamo assieme, impariamo anche la nostra storia e cultura. Le scuole lì sono buone, io a volte scherzando dico che sono l’unico ad essere stato a Cuba tanto tempo senza diventare comunista!
Perché proprio Cuba? Beh, prima di tutto per lo spagnolo: è la seconda lingua per i Saharawi, perché siamo stati colonia spagnola, quindi siamo agevolati. E poi, appunto perché Cuba offre questa opportunità gratuitamente, non devi pagare niente, così puoi finire gli studi di medicina o ingegneria o quant’altro gratis, cosa che non potresti avere da nessun’altra parte.
Io ho studiato Architettura, ma per la verità non ho mai lavorato come architetto. Tornato qui, ho lavorato un po’ come traduttore, per il Ministero dell’Informazione, per la radio, poi con l’arrivo dei computer ho cominciato ad appassionarmi all’informatica, in particolare al software, alla programmazione.
Ho cominciato a procurarmi dei libri a Rabouni, che è un po’ il centro politico, dove sono situati i vari ministeri e hanno sede diverse associazioni.
Sì, ho dovuto fare molto per conto mio. Anche l’inglese all’inizio l’ho imparato da solo, e anche un po’ di francese, prima di avere l’occasione di fare un po’ di pratica…
Infine sono andato negli Stati Uniti. Mi sono iscritto all’università e mi sono laureato in Scienza informatica E poi ho cominciato a lavorare là e tuttora vivo negli Usa, a Baltimora.

Ogni anno torno qui per un mese. Non posso farne a meno. Per qualche ragione, difficile da spiegare, è parte della mia vita: anche se è un campo profughi, è quello dove sono cresciuto e diventato uomo, dove conosco molta gente che ha condiviso tutto con me, ci sono le mie radici. I ragazzi che vennero a quel tempo con me ora sono uomini, io li conosco ancora… e poi c’è la mia famiglia, mio fratello, mia sorella... Cerco di venire ogni anno, mi serve per ricaricarmi, attendo questa venuta tutto l’anno, infatti quando è capitato che non riuscissi ad organizzarmi per venire è stata quasi una sofferenza fisica.
Con questo non voglio dire che non mi piaccia vivere negli stati Uniti. Tutt’altro. Sono stato anche in Europa, ma ...[continua]

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