Le obiezioni dei comitati AntiTav non sono solo di carattere ambientale, ma soprattutto finanziario ed economico.
I comitati AntiTav non hanno mai assunto una posizione di tipo ideologico, sono nati spontaneamente e cresciuti coordinandosi fra loro. Quando un’opera infrastrutturale è finanziata con il pubblico denaro, e tutto il sistema Alta velocità lo è (visto che era stato solamente un annuncio senza seguito l’ipotesi dell’entrata di privati all’interno del progetto) la legislazione obbliga a fare l’analisi dei costi economici. Quel dato, pur non esaustivo, deve comunque guidare il politico nella decisione, non fosse altro perché ci troviamo in un contesto di scarsità di risorse e si deve prendere in considerazione la necessità di fare investimenti alternativi d’utilità sociale più alta.
Tutto il progetto Alta velocità relativo alla trasversale padana non è stato sottoposto all’analisi costi-benefici, che consente di verificare, con tutti i limiti che vogliamo riconoscere a tale strumento, l’utilità sociale dell’opera.
Sul piano finanziario la questione è ancora più devastante se correlata al piano di priorità degli investimenti elaborato dalle Ferrovie, che articola interventi riguardanti la sicurezza, il materiale rotabile, la manutenzione straordinaria, il superamento dei colli di bottiglia, l’intervento sui nodi e quant’altro può concorrere a rendere efficiente la rete ferroviaria convenzionale.
Si pensi che l’ultimo piano prioritario degli investimenti quantifica in 169 miliardi di euro la spesa che dovrà sostenere lo Stato italiano per fare l’alta velocità e gli interventi sulla rete convenzionale. La maggior parte degli investimenti è assorbita dall’Alta velocità. Tutto il sistema dell’Alta velocità, e cioè la Genova-Milano più la Torino-Trieste, la Milano-Napoli, la Battipaglia-Reggio Calabria, assorbe qualcosa come 80 miliardi di euro. Attenzione, questo è il costo industriale. Mancano gli interessi finanziari al tasso del 5,65%, mancano le commissioni bancarie, mancano i costi di struttura, mancano i costi dell’infrastrutturazione aerea, perché l’alimentazione è fatta utilizzando la tensione di 25 kV e in corrente alternata, mancano i costi del materiale rotabile dato che molto di quello attuale non potrà essere utilizzato sulle nuove linee.
Anche se si dà per acquisito che la dotazione infrastrutturale di un territorio incida sulla sua produttività complessiva, non esiste niente all’interno della letteratura economica che dimostri una correlazione sicuramente positiva tra incremento del Pil e investimento pubblico.
Come possiamo pensare allora che un incremento del capitale fisso sociale (determinato dalla costruzione della rete infrastrutturale, come l’alta velocità) possa realmente incrementare il valore dello stock pubblico? Dato, tra l’altro, che il suo finanziamento determina mancati interventi su parte dello stesso capitale fisso sociale, cioè la rete convenzionale, e che l’investimento complessivo avviene in disavanzo. Disavanzo che dovrà essere finanziato o con una regressione del potere d’acquisto delle famiglie, leggi maggiore tassazione, o con un taglio formidabile al settore della spesa corrente relativa a welfare state, previdenza, sanità e cultura.
E perché mai, in un’economia che dopo l’agenda di Lisbona dovrebbe essere fortemente competitiva, un’economia dell’informazione (il che implica investimenti massicci in formazione del capitale umano), gli stessi soldi non si possono spendere per infrastrutture sociali?
Per migliorare l’attuale rete ferroviaria ci vogliono interventi sulla rete convenzionale. Si noti che il sistema di adduzione che serve i bacini di traffico, che poi dovranno portare domanda sull’alta velocità, derivano proprio dalla rete convenzionale. Se questa rimane così com’è, gli scenari ottimistici previsti dai piani finanziari di Tav saranno sicuramente soggetti a ulteriori revisioni.
Io faccio i miei ragionamenti sulla base degli elementi forniti dal piano della società che finanzia l’alta velocità, Infrastrutture S.p.A., che è una società per azioni di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti, che a sua volta è per il 70% di proprietà del Ministero dell’Economia e per il 30% delle fondazioni bancarie.
Infrastrutture S.p.A. ha escogitato (lo ...[continua]
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