Il Proudhon che scrive queste parole è certo un Proudhon "prima maniera”, ma è anche vero che, in realtà, è questo il Proudhon che resta, ragion per cui questa citazione da uno scritto ancora giovanile inquadra tuttavia, in modo veramente pregnante, il pensiero di Proudhon stesso.
Lasciando stare in questa sede il "né anarchia”, che rimanda a Proudhon teorico dell’anarchismo ("anarchia”, infatti, è qui intesa in senso dispregiativo, cioè come disordine, mentre altrove lo stesso Proudhon userà questo termine in una accezione positiva), quello che nella citazione conta, oltre a "né comunismo” e "né frazionamento”, è soprattutto "libertà nell’ordine e indipendenza nell’unità”, che contiene due valenze, una strettamente metodologica e una più ampiamente ideologico-politica.
Per quanto riguarda la valenza di tipo metodologico, essa mette bene in mostra come, per Proudhon, "indipendenza”, "unità”, "libertà” ed "ordine” non siano stati d’essere che possano o meno essere perseguiti, mentre, al contrario, essi rappresentano la struttura intrinseca del reale. Per Proudhon, cioè, si dà realtà, in particolare realtà sociale e politica, solo laddove c’è sempre indipendenza e unità e libertà e ordine, la qual cosa, a sua volta, implica che la realtà socio-politica, per essere e rimanere tale, non può mai veder separati questi elementi, così come non può vedere la riduzione a uno solo di essi; al contrario, deve appunto sempre prevedere la contemporaneità di indipendenza nell’unità e libertà nell’ordine. Nella visione proudhoniana, pertanto, la realtà è intrinsecamente pluralista ed ogni tentativo di scomposizione o riduzione ad uno solo dei suoi elementi non può che sfociare fatalmente o nel fallimento scientifico, cioè nella non-comprensione della realtà stessa, oppure nella catastrofe politica, cioè nella distruzione degli elementi pluralistici che rendono possibile la realtà sociale e politica.
Questo significato di "libertà nell’ordine e indipendenza nell’unità”, così come il "né comunismo, né individualismo”, implicano perciò che Proudhon per primo ponga le basi di quello che poi sarà il socialismo liberale, ne sia anzi il primo teorico proprio perché postula un ordinamento sociale che, contemporaneamente, sia collettivo ma anche individuale, un ordinamento, cioè, che allo stesso modo sia sostanziato da un ordine logico ma che tuttavia sia anche capace di vivificare un ordine individuale.
Per questo, come ho detto, Proudhon è, in assoluto, il primo teorico del socialismo liberale, una idea che poi proseguirà con Francesco Saverio Merlino e solo dopo con Carlo Rosselli, che certo del socialismo liberale è stato un grande teorico, ma che, altrettanto certamente, non ne è stato l’inventore.
L’idea proudhoniana del pluralismo come qualcosa di scientificamente dato e non obliteratrice, cioè la concezione della realtà come intrinsecamente pluralista, implica necessariamente che la metodologia politica sia capace di rispettare tale pluralismo della realtà, la qual cosa vuole a sua volta dire che, per esempio, occorre trovare una formula politico-sociale capace di rispettare l’individuo ma, contemporaneamente, di rispettare anche la società. Partendo da queste considerazioni, Proudhon osserva che nella storia umana vi sono due dimensioni, ambedue ineliminabili, cioè la dimensione della società e la dimensione della politica -in termini attuali, il "politico” e il "sociale” -, e così come non è possibile scomporre l'tirannico pluralismo della realtà, altrettanto non è possibile perseguire uno solo di questi due poli, vale a dire che non è possibile, non è giusto, non è razionale, perseguire solamente il polo della politica o il polo del cosiddetto sociale, mentre invece occorre contemperare continuamente le due dimensioni.
Detto questo, tuttavia, diventa necessario chiedersi cosa intenda Proudhon con l’espressione "società politica”, che oggi potremmo tradurre, come ho detto, con "politico”. Proudhon, infatti, tende a definire come "p ...[continua]
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