Destra 2013: 54 seggi (su 120); Likud/Israel Beitenu (Netanyahu/Lieberman) 31. Habayit Hayehudi (Bennett) 12; Shas (Yishai) 11.
2015: 51 seggi. Likud 30; Israel Beitein 5; Habayit Hayehudi 8; Shas (Deri) 7.
Centro 2013: 25 seggi; Yesh Atid (Lapid) 19; Hatnua (Livni) 6. 2015: 21 seggi. Yesh Atid 11; Kulanu (Kahlon) 10.
Sinistra (più o meno) 2013: 32 seggi. Labor 15; Meretz (Galon) 6; Hadash (Barakeh) 4; Ta’al (Tibi) 4; Balad (Zakhalka) 3; 2015: 42 seggi. Unione Sionista 24; Meretz 4; Lista Araba Unita 14.
Altri 2013: 7 seggi. United Torah Judaism 7; 2015: 7 seggi; United Torah Judaism 7.
Netanyahu è riuscito a portare a casa una vittoria a sorpresa -scrollandosi di dosso la stanchezza generale dell’opinione pubblica nei suoi confronti- utilizzando con successo la tattica della paura. Ha promesso di non consentire mai la nascita di uno Stato palestinese (come se ci fossero mai stati dubbi al riguardo); ha avvertito gli israeliani dell’esistenza di un complotto internazionale contro di lui e ha accusato l’"Unione Sionista” di portare avanti una campagna "illegittima”.
Il giorno delle elezioni ha inviato sms praticamente a tutti gli ebrei di Israele informandoli che "gli arabi vengono portati ai seggi in autobus coi soldi di Hamas e della sinistra. Stanno votando in massa. Anche voi dovete votare in massa, ma per il Likud. Salvate Israele”.
Nessuno può rallegrarsi quando a vincere sono razzismo e oppressione. In una prospettiva più ampia, tuttavia, queste elezioni possono essere viste come una svolta positiva. Non che sia effettivamente cambiato qualcosa, ma la foglia di fico che consentiva anche agli apologeti liberali israeliani di sostenere che la soluzione dei due stati fosse ancora possibile è finalmente caduta.
Era già caduta molto tempo fa, naturalmente, ma il discorso di Netanyahu a Bar-Ilan nel 2009, in cui aveva indicato un debole sostegno alla soluzione dei due stati (i palestinesi devono riconoscere Israele come stato ebraico; nessun diritto al ritorno; Gerusalemme rimarrà israeliana; nessuno stop alla costruzione di insediamenti, ma "negoziati”), veniva sbandierato come prova che tale soluzione fosse ancora possibile. La marcia indietro di Netanyahu anche rispetto a questa formulazione minimalista, nonché la promessa che se fosse stato rieletto non sarebbe mai nato uno stato palestinese, hanno perlomeno sgomberato il campo da ogni equivoco. Ora che non esistono più né un "processo di pace”, né "due parti” che conducono degli pseudo-negoziati e l’illusione di una soluzione dei due stati, siamo finalmente liberi di procedere verso una soluzione reale e giusta.
Queste elezioni hanno fatto cadere anche un’altra foglia di fico: la concezione che Israele sia realmente uno stato democratico -l’unica democrazia del Medio Oriente- e che una "democrazia ebraica” sia effettivamente possibile. Netanyahu e gli altri (compreso Herzog) hanno chiaramente escluso "gli arabi” dal corpo politico israeliano. Presto seguirà una legislazione formale, avviata dalla Knesset precedente, che dichiarerà Israele uno stato ebraico. Quando questa legge sarà approvata, alla Corte Suprema verrà intimato (ciò è possibile in un paese privo di Costituzione) di privilegiare i "valori” e gli interessi "ebraici” rispetto ai diritti di uguaglianza, ai diritti umani e al diritto internazionale, qualora questi siano in conflitto. Di fatto, come ha stabilito l’anno scorso la Corte Suprema, non esiste un popolo "I ...[continua]
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