Per introdurre alla presenza o meglio all’irruzione di Amelia Rosselli nella poesia italiana della seconda metà del Novecento, forse il modo migliore, o almeno il più efficace e immediato, è partire dai suoi testi. Ricordo che quando a vent’anni, nel 1963, lessi per la prima volta le sue poesie pubblicate sul "Menabò”, la rivista di Vittorini e Calvino, la mia impressione (come, credo, di altri lettori) fu che quelle poesie erano un oggetto testuale e letterario misterioso, sorprendente, alieno, quasi del tutto inconcepibile in precedenza, nonostante che già da un secolo il linguaggio poetico si fosse inoltrato nella terra di nessuno delle sperimentazioni e innovazioni più sfrenate.
Le poesie della Rosselli erano qualcosa come un meteorite soprattutto nella letteratura italiana. I testi poetici dei "Novissimi” riproponevano in laboratorio programmi e procedimenti avanguardistici quasi tutti inventati mezzo secolo prima, tra futurismo e surrealismo. Mentre le poesie di Amelia Rosselli "non suonavano” affatto come avanguardia o neoavanguardia. Non erano propriamente "esperimenti”, erano scritte evidentemente ubbidendo a un particolare stato di necessità mentale. Il funzionamento e il contenuto mentale dell’autrice erano interamente presenti in quei singolari blocchi di scrittura. Niente di intenzionale in termini di strategia letteraria, come in Pasolini o Sanguineti. Nessuna idea o ideologia poetica che non fossero interamente travasate nell’invenzione personale di una tecnica. La cultura artistica, letteraria ma anche musicologica della Rosselli era di prima qualità, ma si concentrava tutta nel focus dell’esperienza che generava le sue poesie. Eccone un esempio:

Se l’anima perde il suo dono allora perde terreno, se l’inferno
è una cosa certa, allora l’Abissinia della mia anima rinasce.
Se l’alba decide di morire, allora il fiume delle nostre
lacrime si allarga, e la voce di Dio rimane contemplata.
Se l’anima è la ritrosia dei sensi, allora l’amore è una
scienza che cade al primo venuto. Se l’anima vende il suo
bagaglio allora l’inchiostro è un paradiso. Se l’anima
scende dal suo gradino, la terra muore.

Io contemplo gli uccelli che cantano ma la mia anima
è triste come il soldato in guerra.
                                                                 (in Variazioni belliche)

L’effetto di estrema compattezza consequenziale e iterativa di questo monologo è dovuto a un elementare schema raziocinante costruito su una serie di ipotesi, alcune abbastanza razionali o comunque comprensibili ("Se l’anima perde il suo dono”) e altre invece fantasiose e irreali o ipermetaforiche ("Se l’alba decide di morire”, "Se l’anima vende il suo bagaglio”). Quasi sempre alla premessa condizionale segue una proposizione che infrange ogni logica e sconfina in una enigmatica visionarietà ("Se l’inferno è una cosa certa, allora l’Abissinia della mia anima rinasce”) o in un’estrema sottigliezza metaforica ("Se l’anima vende il suo bagaglio allora l’inchiostro è un paradiso”). Nel primo caso non si capisce che cosa sia quell’Abissinia dell’anima che spunta all’improvviso, il che getta retroattivamente un’ombra di incertezza anche sul significato della premessa: il fatto che l’inferno sia "una cosa certa” è un bene o è un male? Se è un bene, allora l’Abissinia dell’anima che "rinasce” indica una profondità simbolica positiva e vitale. Se invece la certezza dell’inferno è un male, allora l’Abissinia dell’anima è una fonte d’angoscia che si riapre.
Questo solo per segnalare velocemente la presenza invasiva nella poesia di Amelia Rosselli di un’incertezza, di un’instabilità permanente, fisiologica dei significati veicolati da una sintassi formalmente argomentativa. Semplificando si potrebbe parlare di una specie di paradossale surrealismo raziocinante in cui la semantica fluttua senza freni, mentre la struttura grammaticale e sintattica cerca o finge una necessità logica.
Ma su quale materia lessicale e tematica lavora in prevalenza questo linguaggio? Contrariamente a quanto avviene nel parodismo polemico e nel nichilismo antisemantico d’avanguardia, o nell’abbassamento comico-materialistico del registro linguistico, come in Elio Pagliarani ("Le abitudini si fanno con la pelle / così tutti ce l’hanno se hanno pelle”) o in Edoardo Sanguineti ("a domanda rispondo: / lo ammetto, ho messo in carte, da qualche parte, con arte, questa mia / storia così: faccio il pagliaccio in piazza, sopr ...[continua]

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