Filosofo, critico letterario, giornalista e soprattutto autore di saggi di critica della cultura che hanno fatto epoca, José Ortega y Gasset (1883-1955) ha dominato la cultura spagnola e più generalmente ispanica della prima metà del Novecento. Nel 1917 fondò la famosa “Revista de Occidente”, attraverso la quale lavorò per decenni al rinnovamento intellettuale di una Spagna pericolosamente chiusa in se stessa. Nel 1906-07 studiò a Marburg, Lipsia e Berlino e si convinse che alla sua Spagna era necessario “assorbire la cultura tedesca, ingoiarla” come un utile e magnifico alimento. Con insaziabile curiosità e voracità e con una passione di scrittore di idee che non dimentica mai la presenza viva di un pubblico di lettori, cioè il lato teatrale della comunicazione, Ortega mirò subito a definire che cosa il nuovo secolo, prima e dopo la Grande guerra, aveva portato di veramente nuovo. Cominciò nel 1914 con le sue Meditazioni su Chisciotte, continuò nel 1921 con Spagna invertebrata e nel 1925 pubblicò uno dei suoi libri più celebri, La disumanizzazione dell’arte. Infine, nel 1930, arrivò un’opera divenuta con gli anni un classico della filosofia sociale, La ribellione delle masse, in cui viene descritto un tipo di vita umana in precedenza ignoto:

L’impero delle masse e la loro ascesa, il mutamento dei tempi che annunciano, non sono che sintomi di un evento più generale e compiuto. Questo fenomeno è quasi grottesco e incredibile nella sua semplice evidenza. È, semplicemente, che il mondo, di colpo, è cresciuto, e con lui e in lui, è accresciuta la vita. Anzitutto, essa è diventata effettivamente mondiale; voglio dire che il contenuto della vita nell’uomo di tipo medio è oggi l’intero pianeta; che ciascun individuo vive abitualmente l’intero mondo. Poco più di un anno fa, la gente a Siviglia seguiva ora per ora, sui giornali popolari, quello che stava succedendo ad alcuni uomini che erano arrivati in prossimità del Polo; cioè, sopra il fondo ardente della campagna sivigliana sembrava che scivolassero ghiacciai alla deriva. Ogni pezzo di terra non è più chiuso nella sua area geometrica, ma, nei suoi molti effetti vitali, agisce negli altri angoli del pianeta. Secondo il principio fisico che le cose hanno la loro sede lì dove agiscono, possiamo riconoscere oggi a qualunque punto del globo la più effettiva ubiquità. Questa prossimità di ciò che è lontano, questa presenza di ciò che è assente, ha accresciuto in proporzione prodigiosa l’orizzonte di ciascuna vita.
E il mondo è cresciuto anche nella sfera temporale. La preistoria e l’archeologia hanno scoperto ambiti storici di dimensioni chimeriche. Civiltà intere e imperi che fino a poco fa l’uomo neanche sospettava, sono stati incorporati nella nostra memoria come nuovi continenti. Il giornale illustrato e lo schermo hanno portato queste remotissime plaghe del mondo alla visione immediata del popolo.
Ma questo accrescimento del mondo nello spazio e nel tempo non significherebbe nulla per se stesso (...). Quindi è più giustificato di quanto si voglia credere il culto per la pura e semplice velocità che si trova spesso nei nostri contemporanei. La velocità fatta di spazio e di tempo non è meno stupida di quei due elementi; serve però ad annullarli entrambi (...) e non c’è ragione di meravigliarsi se produce in noi un piacere infantile mettere in funzione la vuota velocità, con cui uccidiamo lo spazio e strangoliamo il tempo. Nell’annullarli li vivifichiamo, ricaviamo da loro un profitto vitale, possiamo essere in più luoghi come mai prima, godere di più partenze e di più ritorni, consumare in minor tempo vitale più tempo cosmico. (La ribellione delle masse, Il Mulino 1962, pp. 31-32)
Come si può vedere in queste osservazioni così semplici e dirette fatte già nei primi decenni del Novecento, il nostro attuale presente è stato da tempo chiaramente annunciato. Del resto, nel 1930 di Ortega si poteva riflettere non solo sull’influenza del cinema e sullo sviluppo del giornalismo popolare illustrato, ma anche sull’esperienza del Futurismo, un’avanguardia artistico-letteraria in cui il culto della velocità e del dinamismo era stato centrale e brutale. La velocità che annulla e divora il tempo e lo spazio modificava la percezione della realtà fisica e quindi i dati immediati dell’esperienza sociale di massa. Lo sviluppo di alcune tecniche come l’aeronautica, la motorizzazione, la telefonia e la radiofonia era stato decisivo anche in situazioni belliche, e nel ...[continua]

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