Condivido tutto quanto è stato detto e scritto e intervengo per sottoporre all’attenzione alcune considerazioni integrative che ritengo importanti.
1) L’adozione del “Carbon Capture and storage” (Ccs) che Eni ha in programma di attuare in Adriatico, nell’area di Ravenna, pompando CO2 in stoccaggio “permanente” sotto i fondali marini, nei vecchi giacimenti, ha come scopo principale quello di continuare a estrarre gas, piuttosto che sequestrare anidride carbonica. Per questo motivo la società è disposta ad affrontare, in proprio, anche i costi molto elevati che verranno ricompensati dall’estrazione di quantitativi maggiori di gas residuo in quei giacimenti. Infatti la CO2 è una molecola molto più pesante del metano (ed è anche più pesante dell’aria) e una volta iniettata va a stratificarsi e ad accumularsi sul fondo del giacimento. Man mano che la quantità immessa cresce e si accumula, il livello dell’anidride carbonica sale e spinge in alto il metano residuo che altrimenti sarebbe difficile o impossibile estrarre. L’accumulo di CO2 in pratica funziona come un pistone che spinge il gas più leggero -il metano- verso l’alto in condizione da poter essere estratto e sfruttato con maggiore facilità.
2) In ogni caso il Ccs non è una soluzione perché i volumi disponibili sotto terra verranno in breve tempo esauriti; l’unica soluzione effettiva è non produrre anidride carbonica, come sostenuto nell’articolo.
3) Quando l’azienda risponde che “questi giacimenti contenevano gas... che problema ci sarebbe se ci rimetti dentro un gas?”, nasconde i reali rischi, che a mio avviso sono più importanti e probabili fattori di pericolo rispetto al rischio sismico. Infatti non tutti i gas sono uguali! L’anidride carbonica, a differenza del metano, in presenza di acqua, reagisce con le rocce sciogliendole. Descrivo sommariamente la questione, a rischio di forzature semplificative dal momento che si tratta di lasciar capire fenomeni e non sostenere un esame di chimica. La CO2 si scioglie in acqua in misura tanto maggiore quanta più elevata è la sua pressione. Nell’acqua smette in certa misura di essere un gas e si trasforma in acido carbonico che va in soluzione. Questo attacca il Carbonato di Calcio producendo ioni bicarbonato, solubili! Questo avviene con le rocce carbonatiche, come possiamo vedere col carsismo, e in particolare con gli enormi spazi prodottisi nelle grotte che fanno oggi la gioia degli speleologi, ma avviene anche con diverse altre tipologie geologiche (feldspati, ecc.). La “carbonatazione” è un fenomeno quindi da prendere in seria considerazione. La CO2 presente nell’aria, che ha una pressione parziale bassissima e dove l’acqua è sotto forma di umidità tranne i periodi piovosi ove è bella liquida, oggi è un problema che sta minando i ponti e le altre strutture in calcestruzzo realizzate solo 50-70 anni fa! Figuriamoci cosa può fare a pressioni significative, nel tempo. Il tempo e la pressione contano.
È quindi grave e preoccupante l’assenza di qualsiasi considerazione sul possibile impatto, soprattutto a lungo termine, dell’immissione di tanta CO2 nel sottosuolo senza considerare la possibilità di migrazione laterale che potrebbe arrivare a interessare la terraferma. Qual è la possibile estensione delle cavità, anche se inondate, che si possono formare nell’area vasta? Quali i volumi? Che tipologie di rocce suscettibili a essere attaccate vi sono nel complesso del giacimento? Si è considerato che le cavità potranno arrivare a interessare la terra, risalire verso l’alto fino a sciogliere e mandare in soluzione le rocce di copertura e arrivare a innescare i noti “sinkholes” antropogenici, vale a dire cedimenti, sprofondamenti anche in zone abitate di sedi stradali, ferroviarie, ville comunali, parchi o giardini, nonché aree occupate da piazze, cortili ed edifici? Ravenna è già interessata da una preoccupante subsidenza: ci saranno interferenze? Quando l’immissione di CO2 nel sottosuolo finirà perché arrivata a saturazione, gli effetti dureranno per secoli e saranno irreversibili e persino “mobili”: cavità o depressioni possono franare, scomparire e possono formarsene altre a una qualche distanza dalle prime. Quanto siano temibili i “sinkholes” di origine naturale, indotti dalla CO2 esalata dalle faglie tettoniche è noto in dive ...[continua]
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