“Il figlio problematico di Mosca e Kiev”: così lo storico nippo-americano Hiroaki Kuromiya ha definito il Donbass nel suo libro del 1998, Freedom and Terror in the Donbass, volume che a tutt’oggi rappresenta il più approfondito studio accademico di questa complessa regione. Kuromiya analizza il Donbass, una regione post-industriale sul confine russo-ucraino, nei termini della teoria delle frontiere: è una regione di confine, sostiene Kuromiya, che sta al centro di un conflitto di civiltà.
Molti processi storici hanno contribuito a formare l’entità socio-culturale di questo “figlio problematico”. Storicamente nota come “campo selvaggio”, questa steppa scarsamente abitata era stata colonizzata dai cosacchi nel XVI e XVII secolo. Circa un secolo dopo, nel 1721-1722, nella regione furono scoperti ricchi giacimenti petroliferi; questo diede il via al primo boom industriale del Donbass. Il capitale estero giocò un ruolo significativo: nel 1869 l’industriale gallese John Hughes, il cui cognome era stato traslitterato in “Yuz”, vi fondò la città di Donetsk, che infatti originariamente fu chiamata Yuzovka.
Dopo la rivoluzione del 1917, il Donbass divenne il centro dell’industrializzazione sovietica. Nel bel mezzo della steppa sorse così una potenza industriale, con le grandi città di Donetsk e Luhansk circondate dagli insediamenti degli operai e da città più piccole.
La fine dell’Unione Sovietica e l’istituzione di un’Ucraina indipendente rappresentarono una seria sfida per l’intero Donbass. L’industria locale era già in declino quando si dissolse l’Unione Sovietica e negli anni Novanta la regione sprofondò in una grave crisi. Molte miniere e fabbriche furono chiuse, lasciando la popolazione all’improvviso disoccupata. Il Donbass degli anni Novanta era caratterizzato da interi quartieri di edifici-fantasma abbandonati dai residenti. Quando nella regione si interruppe la produzione, si fermò anche la vita delle città.
La crisi economica si trasformò presto in una crisi di valori. Le persone, abituate a organizzare la propria intera esistenza al ritmo dell’industria pesante, furono vittime di una forte frustrazione, che a sua volta fomentò una crescente nostalgia per il passato sovietico. Processi similari sarebbero divenuti caratteristici delle regioni post-industriali in tutto il mondo, ma furono avvertiti con particolare acutezza nel Donbass, a causa della sua peculiare condizione di crocevia linguistico-culturale dell’intera regione.
Per decenni, l’industria del Donbass aveva attratto operai da diversi paesi e da ogni angolo dell’Unione Sovietica. Il risultato era una popolazione etnicamente molto diversificata, che però parlava prevalentemente russo, la lingua franca sovietica. Secondo l’ultimo censimento dell’Urss, condotto nel 1989, il 64% dei residenti di Luhansk e il 67,7% di quelli di Donetsk consideravano il russo la propria prima lingua. Tuttavia, in termini etnici, gli ucraini rappresentavano ancora una -seppur risicata- maggioranza della popolazione: a Luhansk, gli ucraini erano il 51,9% della popolazione, mentre a Donetsk erano il 50,7% (i russi, invece, costituivano rispettivamente il 44,4% e il 43,6%).
Un tale contesto si rivelò terreno fertile per le idee e gli slogan che rivendicavano una “via speciale” per il Donbass che infatti presero piede in una popolazione locale decisamente disorientata dai sommovimenti della tarda Unione Sovietica e dei primi anni post-sovietici. L’ideologia della “via speciale” nacque durante la Perestrojka, quando, accanto alle organizzazioni nazionali e democratiche ucraine, sorsero movimenti che rivendicavano un Donbass separato dall’Ucraina. La prima organizzazione incentrata sul Donbass, il “Movimento internazionale per il Donbass”, si formò nel 1990 e dichiarò fin da subito la secessione dall’Ucraina qualora Kiev avesse scelto di separarsi dall’Unione Sovietica.
I leader ideologici dell’organizzazione plasmarono la loro visione del Donbass indipendente sul modello della Repubblica sovietica del Donec-Krivoj Rog, un’entità politica autonoma esistita per poche settimane nei primi mesi del 1918. Il leader del Movimento internazionale del Donbass, lo storico e giornalista Dmitry Kornilov, aveva perfino inventato una bandiera per la “Repubblica di Donetsk”: rossa, blu e nera, sulla falsariga della bandiera dell’Ucraina sovietica, ma con l’aggiunta di una striscia nera, a simboleggiare il carbone del Donbass ...[continua]
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