Quest’anno ricorre il sessantacinquesimo anniversario della morte di don Primo Mazzolari, discreto e umile, ma famoso, parroco di Bozzolo, paese nel contado di Mantova, dove per molti decenni esercitò una fertile missione pastorale.
A don Primo Mazzolari, che era nato nel 1890 a Boschetto di Cremona, Giovanni XXIII in un’udienza privata, abbracciandolo con affetto, disse: “Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”. Le cronache non lo raccontano, ma è giusto pensare che gli occhi di don Primo si siano velati di commozione. Nel 1969, Paolo VI, nel rievocare la forte testimonianza cristiana del generoso parroco, da poco defunto, davanti alla sorella del sacerdote, così meditò: “Non era sempre possibile condividere le sue posizioni: don Primo camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso non gli si poteva tenere dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È il destino dei profeti”.
Fu vittima delle critiche che gli aveva mosso un infido frate, padre Placido da Pavullo del Frignano. Questi lo aveva accusato di malversazione nella gestione della rivista da lui stesso fondata, “Adesso”. A queste si aggiunsero le aspre interpretazioni negative del reazionario cardinale di Genova, Giuseppe Siri, che mal sopportava la totale e limpida interpretazione della carità cristiana che don Primo manifestava anche contro gli scomunicati comunisti del tempo. Così gli fu impedito di predicare e di continuare la pubblicazione di “Adesso”. Don Primo ubbidì senza polemiche, proferì soltanto tre parole: “Tutto è grazia”.
Il cardinale Siri che mestava nella politica italiana con veemente posizione reazionaria, si lasciò sfuggire, durante una predica, un giudizio terrificante, uscito dalla bocca di chi il Vangelo doveva testimoniare con azione caritatevole: “Homo sine pecunia imago mortis”. Furono anni di tormento del parroco dalle idee coerenti, ma dapprima Montini, ancora cardinale di Milano, lo chiamò a predicare durante la Settimana santa, nel 1957, nel duomo di Milano. Giovanni XXIII, ancora prima, usò molte delle riflessioni dell’agguerrito, ma pacifico, sacerdote, per rendere universali le sue encicliche, soprattutto la “Pacem in terris” nella quale condannava “gli errori, ma non gli erranti”. Paolo VI confermò che don Primo era un profeta quasi a sottolineare l’inattualità di un candido testimone evangelico protagonista di dure battaglie contro i potenti, fossero sia il cardinale Schuster (predecessore di Montini a Milano e di simpatie fasciste) sia la politica economica della Democrazia Cristiana. Don Primo, tenace, scriveva: “I parlamentari spesso dimenticano che sono stati eletti dai poveri“, oppure, ancora contro il cardinale Siri, che avrebbe voluto ridiscutere il concordato del 1929, don Primo sosteneva: “Trovo umiliante che un vescovo giuri fedeltà a delle parole degli uomini, perché le leggi degli uomini possono avere qualcosa di non conforme alla legge di Dio”. E don Primo certamente avrebbe obiettato che il messaggio del Cristo, pur scomodo, è l’unico, autentico riferimento dei cristiani attenti agli imperativi della coscienza. Così il papa buono, Giovanni XXIII, accreditava un ruolo fondamentale a don Primo nella missione ecclesiastica quotidiana e ricevendolo, forse troppo tardi, gli riconosceva, a dispetto della curia ostile e dei molti nemici che sul parroco si erano avventati con violenza e grettezza, un ruolo importante e solido nel testimoniare la sua vocazione di libero sacerdote. Si scomodarono i potenti della chiesa contro don Primo, che predicava in solitudine il suo forte senso evangelico, difendendo con la più semplice delle armi, la parola del Cristo, i poveri e gli operai disoccupati, le vittime della violenza fascista, i partigiani che lottavano per la libertà e la giustizia, insieme a molti ebrei e perseguitati antifascisti, i comunisti, con i quali ostinatamente voleva dialogare, in quanto fratelli, seguaci di una ideologia che non condivideva, ma con i quali aveva intessuto un dibattito alto e profondo. Tutte le opere di don Primo meritano di essere lette per trarne insegnamento e prospettive di solidarietà tra gli uomini, ma una su tutte, insieme al poderoso volume Nostro fratello Giuda, merita di essere considerata pietra miliare della chiesa nella società moderna: il volume è Anche io voglio bene al Papa. Perché sosteneva che “il Papa è un povero. Il povero del Signore”. Che cosa c’è di più bello, più sincero, più cristiano di questa affermazione de ...[continua]

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