“Ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”. Alle ore 18,45 dell’8 settembre ’43, dai microfoni romani dell’Eiar, il generale Pietro Badoglio annunciò l’avvenuta firma a Cassibile, vicino a Siracusa, dell’armistizio che segnava una svolta drammatica nelle vicende della Seconda guerra mondiale. I firmatari furono il generale Giuseppe Castellano (fu notato che portava scarpe di colore non degne di un militare) e il suo interprete, il console Franco Montanari, da parte italiana. Da parte alleata il generale Walter Bedell Smith, futuro direttore della Cia. Appena 45 giorni dalla destituzione di Mussolini e dallo sbarco alleato in Sicilia. L’armistizio in realtà era stato firmato il 3 settembre, ma vili timori fecero tardare l’annuncio che fu effettuato ad Algeri dal generale Eisenhower, che ruppe così il silenzio del pavido Badoglio. Non si citava per ipocrisia che il nemico ora erano i tedeschi. In Italia fu il caos. Tutto era iniziato nel 1940 quando il Duce, ammaliato dai successi di Hitler e illuso che si potesse trattare di una guerra lampo, dichiarò con feroce cinismo: “Bisogna gettare cinquemila morti sul tavolo della pace”. Così racconta nei suoi diari Galeazzo Ciano, genero del Duce. La guerra, sconsigliata dai capi di stato maggiore dell’esercito, è tutto un repertorio di fallimenti. L’aggressione alla Francia, la sconfitta in Albania e in Grecia, centomila alpini morti per la disastrosa ritirata dalla Russia, la flotta distrutta nel Mediterraneo.
A 80 anni di distanza la data suscita ancora aspre polemiche e divisioni mai sanate. Il re e la famiglia, insieme a Badoglio, scapparono a Ortona per imbarcarsi verso Brindisi. I membri della corte e le autorità militari si spintonarono indecorosamente per salire sulla nave. Il pavido erede Umberto, come un collegiale, seguì gli ordini del padre. I comandi militari allo sbando si comportarono alcuni secondo coscienza opponendosi ai tedeschi, altri pavidi e opportunisti consegnando le truppe al nemico. Alla scuola di trasmissioni interforze di Hersbruck in Baviera, tracciata una linea nel cortile della caserma, fu chiesto agli alpini della Julia di schierarsi da un lato con Mussolini, dall’altro con Badoglio. Tra le indecisioni dei soldati, i tedeschi scelsero per tutti: li inviarono in campo di concentramento a Dachau. A Tarvisio nella caserma Italia nacque un primo focolaio di Resistenza contro i tedeschi. I soldati erano allo sbando. “Tutti a casa”, narrava un bel film di Luigi Comencini con Alberto Sordi che prendeva coscienza degli inganni subiti e delle scelte da compiere come valore di libertà. Nessun piano militare fu consegnato all’esercito per respingere la certa reazione nazista. Ma non si trattava di insipienza, ma della volontà del re e di Badoglio di lasciar l’esercito allo sbando, forse immaginando di risparmiare così altri lutti e distruzioni, valutando certamente troppo scarse le possibilità di Hitler di bloccare l’offensiva angloamericana, una volta venuto a mancare l’appoggio italiano. Si prospettava anche il rapido ritiro oltralpe della forze germaniche. Calcoli profondamente errati nella paura che diventasse tutto una miscela esplosiva contro la corona. Il rifiuto della maggior parte dei comandanti delle piazze militari di consegnare armi ai civili durante le ore che seguono l’armistizio e di consegnare i soldati ai nazisti perché li facessero inoltrare nei campi di concentramento tedeschi, furono scelta certamente badogliana. Mentre già infuriavano i combattimenti, sarebbe stato dunque pienamente coerente con l’atteggiamento del re assunto nei confronti del Comitato delle corre ...[continua]
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