Il testo che segue è la trascrizione degli interventi di Arab Aramin, figlio di Bassam, e Yigal Elhanan, figlio di Rami, tenutisi a Langemark, in Belgio, in occasione della Veglia di Pace dell’8 novembre 2015.

Arab Aramin
Buonasera a tutti voi, mi chiamo Arab Aramin, sono nato a Gerusalemme e ho 21 anni. Sono venuto a parlarvi della mia amata sorella Abir. Nel 2007, il 16 gennaio, Abir è stata uccisa da un soldato israeliano davanti alla sua scuola, che si trova ad Anata, a Gerusalemme Est. Abir è stata uccisa senza motivo. O forse il motivo c’era: era palestinese. Dopo l’uccisione di Abir ho cercato di vendicarmi. Lanciavo pietre contro i soldati che stavano ai posti di blocco davanti a casa mia. Dopo un po’ mio padre ha scoperto cosa stavo facendo, lui, un attivista per la pace, e ha cercato di convincermi a smettere di farlo. Mi ha detto: “La vendetta porterà solo altra vendetta e il sangue porterà solo altro sangue”. Aveva ragione. Inoltre, non era certo disposto a perdere un altro figlio. Le parole di mio padre mi hanno attraversato il cuore come la lama di coltello. A quel punto ho deciso che non avrei portato avanti la mia vendetta, anche per evitare che la mia famiglia venisse di nuovo ferita da questo conflitto. Ho iniziato a pensare alle parole di mio padre, ho deciso di accettare questa cosa che è la pace e di fare pace con me stesso, che probabilmente è la cosa più difficile di tutte.
Sono qui oggi per mostrare a entrambe le parti, palestinese e israeliana, che la pace è possibile, che si possono aiutare entrambi i popoli, che hanno bisogno di una vita normale, tranquilla. Ed è per questo che siamo qui, io e il mio nemico, insieme, per cercare insieme una speranza per entrambe le parti, perché ci sia pace. Finché la Palestina non otterrà la libertà, Israele non avrà la sua sicurezza. Come dice Martin Luther King, dobbiamo scegliere se imparare a vivere insieme come fratelli o a perire insieme come sciocchi. Grazie a tutti voi per averci ascoltato, sostenuto e per averci portato qui.

Yigal Elhanan
Il 4 settembre 1997 Smadar, mia sorella, è stata uccisa in un attentato avvenuto lungo via Ben Yehuda, a Gerusalemme, mentre acquistava i libri di scuola con le sue compagne di classe Sivann Zarka, Yael Botvin e Daniella Birman. Yael, Sivann e Smadar sono rimaste uccise insieme ad altre due persone. Daniella, invece, si sta ancora riprendendo da gravi danni cerebrali. La mia famiglia si è unita al forum delle famiglie in lutto due anni dopo e da allora è sempre stata attiva.
L’obiettivo del Parents Circle è quello di costruire un’infrastruttura sostenibile per iniziare il processo di riconciliazione. L’esistenza della nostra organizzazione è la prova che se noi -coloro che hanno perso gli affetti più cari- possiamo lavorare insieme, chiunque può farlo.
Attualmente non esiste un processo di pace. Non c’è un processo di riconciliazione. Un tale processo è impossibile finché si mantiene l’attuale equilibrio di potere. È impossibile finché una parte è occupata e oppressa dall’altra. La riconciliazione inizia con il riconoscimento e il rispetto dell’altra parte. A proposito di questo il poeta israeliano Yehuda Amichai ha scritto: “Nel luogo in cui siamo certi di aver ragione non sbocceranno mai fiori in primavera. Il luogo in cui siamo certi di essere dalla parte della ragione è duro e calpestato come un cortile, sono i dubbi e l’amore che scavano il mondo, come una talpa, un aratro. E un sussurro sarà udito nel luogo dove un tempo sorgeva una casa in rovina”.
Non c’è conforto nella vendetta, non c’è rimorso, e quindi non c’è perdono. C’è solo la realtà e gli esseri umani che sono rimasti a viverla. La nostra realtà ci chiama, tutti noi, a lottare per la pace, a lottare per il cambiamento. Purtroppo questa lotta non è affatto semplice o facile da ottenere come la vendetta. La giustizia e la riconciliazione non infiammano come la violenza e l’odio. Il cammino della nostra lotta è ripido, irto di ostacoli e richiede ogni grammo di forza che possiamo raccogliere. Stephane Hessel, nel suo pamphlet Indignatevi!, ha scritto: “creare è resistere, resistere è creare, la libertà è resistenza e la resistenza è libertà”, rivolgendosi, all’età di 93 anni, ai giovani come noi. Che si tratti di rifugiati siriani che bussano alle vostre porte, di africani oppressi dall’avidità occidentale, di chi subisce l’occupazione israeliana o delle vittime di una qualsiasi delle guerre senza fine, non rimanete in silenzio, non voltatevi dall’altra parte, non chiudete gli occhi sulla sofferenza degli altri. Perché è tempo di attivarsi per la pace. Grazie.

Il video originale:
https://www.youtube.com/watch?v=oJllnXxS41M