Quando negli anni Sessanta, prima delle occupazioni studentesche del febbraio 1968, studiavo nella facoltà di Lettere di Roma, seguii per un anno le lezioni di storia della filosofia di Guido Calogero. Anche se sapevo bene che in quanto “filosofo del dialogo” Calogero non era più né discusso né stimato, in un clima allora dominato dalle versioni neo-ortodosse o estremistiche del marxismo, le sue lezioni sulla dialettica dai Presocratici a Hegel mi sembrarono “dialetticamente” magnifiche. Calogero parlava di Parmenide e di Eraclito, di Socrate nemico dei Sofisti, di logica e di dialogica, e infine di incompatibilità fra la dialettica intesa come logica delle cose (da Eraclito a Hegel) e la dialettica come arte del pensiero, come discorso dialogico. Il Sessantotto detestò il dialogo e scelse la logica dello scontro reale per eccellenza, la lotta di classe fra operai e capitale, fra studenti consapevolmente rivoluzionari in rivolta e autoritarismo delle istituzioni politiche e culturali, dall’università all’intero Stato borghese.
Il liberalsocialismo novecentesco degli anni Trenta e Quaranta, promosso da Carlo Rosselli, Aldo Capitini e Guido Calogero, riprendeva invece alcuni aspetti della filosofia di John Stuart Mill, che un secolo prima aveva integrato la teoria liberale con alcuni aspetti del socialismo premarxista. Ma Calogero, tra filosofia del dialogo e liberalsocialismo, fu presto dimenticato. Aveva scritto sul “Mondo” di Pannunzio e le mode filosofiche (strutturalismo e Nietzsche) lo cancellarono presto. Oggi, nell’Enciclopedia della Filosofia Garzanti viene dedicato più spazio a Vattimo, Severino, Cacciari e Marramao che a Calogero, dimenticando perfino il ruolo che il suo pensiero filosofico ha avuto nella sinistra non marxista. Calogero è stato sia un antimetafisico che un critico del marxismo in quanto dialettica dello scontro oggettivo e ineluttabile che avviene nella struttura di classe della società capitalistica. Per l’“operaismo” degli anni Sessanta (Tronti, Negri, Asor Rosa eccetera) non c’era neppure bisogno di una coscienza di classe degli operai, bastava la loro “ontologia”, il loro istinto negativo e distruttivo a renderli tout court e senza mediazioni anticapitalisti e rivoluzionari.
Laureatosi nel 1925 con Giovanni Gentile, in Italia il giovane Calogero fu, a poco più di vent’anni, il più competente e originale studioso di logica greca, e già nel 1929, fu schedato nella polizia politica come antifascista. La sola cosa che di Gentile conservò è il nesso fra pensiero e azione, etica e politica, conoscenza come dialettica dialogica fra due o più coscienze individuali, che si accordano moralmente per la ricerca della verità in un clima di uguaglianza e giustizia. Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio, che aveva già conosciuto Calogero (di qualche anno più anziano di lui), in quanto ideatore e teorico del liberalsocialismo, scrisse che dopo l’ingresso nel Partito d’Azione, Calogero nel 1944 sintetizzò il proprio pensiero dicendo che a destra il liberalismo conservatore prende la strada della libertà senza la giustizia; a sinistra c’è la deviazione del “collettivismo autoritario”, come quello comunista, mentre il Partito d’Azione sceglie “la terza via”, quella della “compresenza indissolubile della giustizia e della libertà”.
Oltre alle aspre e stizzite critiche rivolte contro Calogero da Benedetto Croce, secondo il quale la libertà è un principio filosofico (“la libertà è l’essenza dell’uomo”) mentre la giustizia è solo un principio empirico, anche l’amico Norberto Bobbio restò dubbioso sulla formula filosofico-politica di liberalsocialismo: “Più socialismo o più liberalismo? Liberalismo, in quale misura? Socialismo, in quale misura?”. Una dubbiosità piuttosto sofistica, dato che Calogero non parlava in astratto, ma voleva precisare qualcosa di politicamente ed eticamente fondamentale: e cioè che non c’è libertà per chi non è trattato socialmente secondo giustizia e riconoscimento di diritti civili. La stessa “filosofia del dialogo”, intesa come logica pragmaticamente perseguita e applicata, non è possibile se non fra individui egualmente liberi per diritto e di fatto.
Siamo così tra filosofia e politica, etica e pensiero, logica e filosofia del diritto. Con le due opere Logo e dialogo (1950) e La filosofia del dialogo (1962) Calogero conclude la sua costruzione, il suo metodo e il suo scopo di intellettuale politicamente impegnato. La sua teoria del conoscere è una teoria ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!