Autorevole guida di un gruppo di giovani poeti fin da quando era studente a Oxford, Wystan H. Auden (1907-1973) è stato il poeta e intellettuale più precocemente esemplare nella letteratura inglese degli anni Trenta. Fin dall’inizio della sua attività, Auden segnò una svolta rispetto a un altro e ancora più autorevole poeta-filosofo e critico letterario come Thomas S. Eliot, autore della più famosa opera poetica occidentale del Novecento, The Waste Land, pubblicata nel 1922. Come l’americano Eliot, più tardi naturalizzato inglese, che aveva rappresentato un mondo postbellico in frantumi, enigmatico e in cerca di salvezze religiose o mistiche, così Auden aprì il decennio che precedeva la Seconda guerra mondiale: il decennio in cui gli scrittori europei e americani sentirono anzitutto il dovere di impegnarsi politicamente e nella critica sociale dopo aver letto Marx e Freud. Ma l’esemplarità di Auden soffrì anche di un limite intellettualistico mai superato, che il più attivo e militante Orwell rimproverò a lui e a tutto il suo gruppo, con Isherwood, Spender, MacNeice e Day-Lewis: secondo l’autore di Omaggio alla Catalogna quegli scrittori non erano altro che dei “bolscevichi da salotto”.
In verità, salvo una breve presenza in Spagna nel corso della guerra civile 1937-39, l’impegno di Auden è stato sempre e soprattutto poetico, culturale e morale. La sua è una poesia tanto severamente critica quanto umoristicamente diagnostica, in uno stile aforistico e satirico che mette a nudo le ipocrisie della società borghese e di tutto lo stile di vita britannico, fra reticenze, rimozioni, cecità volute e schermi autodifensivi. Il virtuosismo tecnico e allusivo dello stile poetico di Auden rende spesso poco decifrabile il suo lucidissimo intellettualismo, nonché lo straordinario acume analitico di tutta la sua opera in versi e in prosa. Il paradosso del suo linguaggio e del suo pensiero è in un antiromanticismo neoclassico e illuministico, che scavalca all’indietro il modernismo lirico-esoterico di tardosimbolisti come Valéry, Rilke, Eliot, per tornare al Settecento di Pope, Voltaire, Hogarth, fino ad avvicinarsi, nelle sue poesie più tarde, all’epicureismo autobiografico di Orazio, un classico che tutta la poesia moderna ha tenuto a distanza. La poetica di Auden è infatti quasi interamente contenuta in queste poche righe: “La poesia non è magia. Se si può attribuire alla poesia, o ad altra forma di arte, un qualche scopo ulteriore, è quello di disincantare e disintossicare, dicendo la verità”. A cui va aggiunta questa battuta contro il titanismo romantico di Shelley, che vedeva nei poeti “i profeti e legislatori del mondo”. No, dice Auden, quella “può essere la definizione della polizia segreta, non dei poeti” (in Saggi, Garzanti 1968, p. 54).
Sguardo a distanza e freddezza critica sono sempre presenti in Auden, sia nei suoi testi poetici che nella sua saggistica. Saggistica e aforistica è comunque anche la sua poesia, come si vede nelle composizioni più tipiche e famose, per esempio quella intitolata “Cultura”, che interpreta, enumera e descrive l’insieme degli espedienti culturali con i quali gli esseri umani si difendono dalle angosce della conoscenza e della coscienza:

Felice la lepre al mattino, perché non sa leggere / i pensieri del cacciatore quando si sveglia, felice la foglia / incapace di prevedere la sua caduta, felici / le alghe gelatinose e ammorbate che crescono / nell’acqua stagnante e lambiscono le sabbie del deserto. / Ma cosa farà l’uomo, che riesce a fischiettare canzoni a memoria / consapevole della morte che lo sorprenderà come l’urlo improvviso del gabbiano; / che cosa può fare l’essere umano se non difendere sé stesso dalla conoscenza? // Confortevoli i suoi rifugi e gli altarini della sua pace. / Libri nuovi al mattino sul tavolo, prati e terrazze nel pomeriggio, / campi da gioco in cui dimenticare la sua ignoranza / per giocare secondo regole stabilite: e quanti peccati gli vengono così perdonati. / Amanti si nascondono in un boschetto eccitandosi a vicenda. / Bei viali che incantano con le botteghe dei più sapienti artigiani. / In galleria non manca mai la musica e il pianista tempesta la tastiera, / mentre il grande violoncellista sembra crocifisso sul suo strumento. / E tutto questo affinché non si sentano gli allarmi delle sentinelle / e i lamenti di tutti coloro che soffrono in miseria / e neppure il tonfo di coloro che cadono lavorando a tenere lontani da noi serpenti e ins ...[continua]

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