Buongiorno, volevo portare una testimonianza che esiste già per iscritto in un vecchio numero della rivista “una città”. 
Con mia moglie Silvia Castaldi, accompagnammo Alexander Langer a Cannes. Una cosa singolare, perché noi né allora facevamo politica attiva, né l’abbiamo fatta in seguito. Essendo io però interprete al Parlamento europeo, avevo occasione di incontrare frequentemente Alexander Langer, con cui avevo una conoscenza come quelle che si possono avere in un ambiente lavorativo come un Parlamento. Non una confidenza quindi, tanto meno mia moglie. Mi parlò dunque del vertice di Cannes e siccome all’epoca lui faceva il pendolare tra Bruxelles e Firenze e io tra Bruxelles e Livorno, ci mettemmo d’accordo che lui sarebbe venuto in treno da Firenze a Livorno e noi lo avremmo aspettato con la macchina per portarlo a Cannes. Già questo secondo me dà l’idea dell’isolamento in cui si trovava in questo suo proposito di andare a esporre a Chirac le cose di cui ci ha parlato Marco Boato. 

Di questi suoi crucci, ci parlò per tutte le ore che durò il viaggio e da Livorno a Cannes ci sono parecchi chilometri. Tra l’altro una delle cose su cui si aprì con noi fu la delusione per il mancato sostegno nella vicenda della sua esclusione dalle elezioni comunali di Bolzano. 
A Cannes, la delegazione italiana in pratica era costituita da Alexander Langer e noi due. Fu lui a farci notare come invece per la gran parte dei paesi dell’Unione Europea dell’epoca fossero arrivate delegazioni molto nutrite per chiedere quello che lui, a nome dell’Italia, praticamente chiedeva da solo. Con un’eccezione. Mia moglie mi ricorda che l’unica eccezione, a parte questo strano terzetto, era Marco Pannella, anche lui presente per chiedere la stessa cosa. Mi ricordo anche una frase che Pannella disse quando ci vide passare per una via di Cannes. Lui era seduto al tavolino di un caffè, si rivolse a Langer e gli disse: “Come al solito tu lì a fare il San Sebastiano... ti fanno male le frecce...”. 
Ecco, il suo isolamento era tale che nella manifestazione fuori dal luogo dove si svolgeva il vertice, e dove via via prendevano la parola spagnoli, catalani, inglesi, francesi, belgi, olandesi, portoghesi... alla fine, dopo aver parlato lui, mi pregò di salire sul palco a dire due parole io per far vedere che non era solo. Figuratevi…

Questo fa riflettere su quel suo ragionamento sul pacifismo gridato, perché anche a quell’epoca è vero che c’era molto volontariato, spontaneo, che portava aiuti verso i paesi della ex-Yugoslavia in guerra, ma c’era anche tanto pacifismo gridato e soprattutto, come adesso, c’era questa, non dico indifferenza, ma questa forma di sufficienza verso le vittime.