Capita, con gli anni e le tristezze, di diventar più duri, o di imparare a sembrarlo. Questo, almeno, si crede. Ma non è mai vero del tutto: altrimenti non proveremmo oggi, così in tanti, quel dolore, quel vuoto, quello strano rimorso.
Luca era nato il 3 giugno 1950; è morto il 22 settembre del 1992. Quando io lo conobbi, era un ragazzo di vent’anni che si accostava alla politica: generoso, ingenuo, appassionato come si dovrebbe esser tutti, almeno a vent’anni. Di lui -del ragazzo di allora come del giovane uomo che ci ha oggi lasciato- Luigi Mariucci ha ricordato giustamente la vivacità incredibile degli occhi, mai come in questo caso specchio dell’anima. Era capace -a dispetto di una salute sempre minacciata- di esplosioni di allegria; ma anche di grande serietà e dedizione. Portò queste sue doti nel lavoro politico (come si diceva allora), in Lotta Continua. Le mise, con incantevole semplicità, al servizio degli altri. E benché fosse giovanissimo, aveva già un acume e un equilibrio che lo imponevano all’attenzione e all’ascolto. Di molti (quasi tutti) fra i ragazzi che conobbi allora -io di molti anni più anziano- so di poter dire con certezza che le loro scelte erano prive di ogni ambizione personale, mossa solo da una passione generosa e vissuta per la giustizia: in Luca, questo era più evidente che in chiunque altro.
Nel corso degli anni, ebbi modo di conoscerlo bene. In un’occasione soprattutto, nel ’76, camminammo per alcuni mesi assai vicini, lui aiutandomi in una campagna elettorale, ma ciascuno dei due insegnando e imparando. Di quei mesi ho un ricordo ora struggente.
Più tardi, ma solo per ragioni pratiche, le nostre vite si separarono, e ci vedemmo più di rado: ma mai venne meno l’affetto, rinnovato peraltro negli ultimi anni dalla sua attenzione a vicende in parte mie, in parte comuni. Mi chiedo semmai (me l’ero chiesto anche prima), e non senza una profonda inquietudine, se non avrei potuto fare qualcosa per lui: ma Luca non sapeva domandare, e io sono, a volte, colpevolmente pigro e distratto. Ho visto in questi giorni che siamo in molti a pensare di aver ricevuto da lui assai più di quanto abbiamo saputo dargli.
Luca rimase sempre fedele a se stesso, anche in tempi più duri: il suo ultimo e più importante lavoro, come giornalista del “Manifesto”, fu per lui la prosecuzione di un impegno che era cominciato tanti anni prima. Lo svolgeva -quel lavoro- con maturità professionale crescente, e ormai ampiamente riconosciuta; ma, anche, con sempre rinnovata passione. Era attento alla politica, ma anche ai problemi del mondo del lavoro, al razzismo, ai diritti della gente, ai suoi sentimenti, alle sue sofferenze. La precoce esperienza politica, un lungo soggiorno negli Stati Uniti, un’attenzione continua alla cultura del mondo giovanile ne avevano fatto un giornalista inconsueto; avevano contribuito ad affinare e ad arricchire la sua sensibilità, indirizzandola verso temi e settori più diversi. Ma, soprattutto, Luca giornalista si distingueva per l’amore dei “fatti” e per la cura meticolosa con cui verificava ogni particolare: un atteggiamento non scontato né molto frequente nel suo mestiere. Molti dei suoi colleghi ricordano di aver utilizzato i suoi archivi, messi insieme con grande pazienza e serietà.
Sia nel lavoro, sia ancor più nella vita, Luca conservò intera la sua generosità. Quando un amico suo -e di molti di noi- si ammalò gravemente, avviandosi a poco a poco a morirne, Luca fu accanto a lui come nessun altro, infermiere e fratello, senza conoscere stanchezze. Ricordo che, vincendo a fatica la mia paura della retorica, non potei fare a meno di scrivergli, per dirgli la mia ammirazione.
Si potrebbero dire e ricordare molte altre cose di Luca, ma io, oggi, mi sono interrogato soprattutto su come mai, al di là degli scambi di battute scherzose o ironiche, Luca fosse così amato da tutti. Forse, pur attraversando delusioni e timori e tristezze, Luca era rimasto un ragazzo. Era come se, giunto sulla soglia del mondo adulto, si fosse rifiutato di varcarla, avendo visto che quel mondo gli avrebbe imposto ambizioni, rivalità, compromessi: tutte cose delle quali non era capace. Penso che a noi fosse simpatico e caro proprio per questo, perché non aveva varcato quella soglia e aveva preferito conservare la sua freschezza. Ma il rovescio della medaglia è che Luca era rimasto (nel lavoro ma anche altrove) un “precario”. Mi chiedo quale e quanta sofferenza sia stata per lui il prezzo di una simile scelta. E’ possibile che lo sapesse lui solo; o che lo sapesse qualcuno che gli era stato più vicino. Io no. E questo accresce in me, questa volta, il rimorso che sempre accompagna chi sopravvive pensando a una persona tanto più giovane che se n’è andata, per indicibile ingiustizia, troppo presto.
Gianni Sofri
(Questo testo è una versione ampliata e modificata di quello apparso su "il manifesto" del 25 settembre scorso)
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