L’esito del voto tedesco è rimasto incerto fino all’ultimo momento. I sondaggi consentivano di formulare diverse ipotesi, tutte egualmente plausibili. Scontata la vittoria della Cdu e della Cancelliera Merkel, l’incognita era legata alla performance elettorale del partito liberale, alleato al governo nella passata legislatura, dei socialdemocratici della SPD, del neo partito anti-europeo AfD (Alternative für Deutschland), dei Verdi e della Linke. Liberali, AfD, Verdi e Linke erano tutti incerti sulla possibilità di superare la soglia fatidica del 5 % al di sotto della quale non scatta la rappresentanza parlamentare. L’incognita era su chi avrebbe dovuto sacrificarsi sull’altare della sicura vincitrice. Tutte le formule e alleanze politicamente possibili erano già state sperimentate in passato e non avevano rappresentato un salto nel buio, una discontinuità troppo netta. Il sistema politico tedesco aveva digerito niente meno che la riunificazione dopo più di mezzo secolo in cui il paese era rimasto diviso dalla cortina di ferro. L’alternanza aveva funzionato in passato e tutto lasciava prevedere che, se anche questa volta se ne fosse presentata l’occasione, il sistema avrebbe retto egregiamente.
Tuttavia, l’esito era incerto e, quando l’esito è incerto, la partecipazione, in genere, viene stimolata. Di fatto, la tendenza storica all’aumento dell’astensionismo questa volta si è arrestata, anzi, vi è stato un timido segnale di inversione di tendenza. Ma la campagna elettorale non ha suscitato grandi emozioni, anche se non si può certo parlare che sia trascorsa nella sostanziale indifferenza del pubblico.
Ho assistito alle fasi conclusive della campagna elettorale, un osservatorio interessante per cogliere analogie e differenze della cultura politica di due paesi, Italia e Germania, anch’essi diversi e simili per molti aspetti. Anche in Germania, come dappertutto, la campagna si gioca sempre meno nelle piazze e nei luoghi pubblici e sempre di più in televisione e sul web. Il climax della campagna è stato il confronto a due tra Angela Merkel e Peer Streinbrück. Il clima del dibattito sembrava quello delle "tribune elettorali” dei tempi di Gianni Granzotto e di Jader Jacobelli1, che ormai da noi si ricordano soltanto gli ultrasessantenni. Molta cortesia, molto rispetto reciproco, toni argomentativi raziocinanti, enfasi più sui propri programmi che non sulla critica dei programmi dell’avversario, fair play. Tra Streinbrück e la Merkel il più preparato sul piano tecnico è sicuramente apparso il primo che, quale capo dell’opposizione, era costretto ad attaccare, la Merkel ha tirato fuori tutte le sue risorse di cautela e di saggezza, le caratteristiche più apprezzate dalla parte maggioritaria dell’elettorato disposta a seguire chi promette Keine Experimente. Il giorno dopo tutti i giornali hanno titolato indicando il sostanziale pareggio, anche se qualcuno si è azzardato di assegnare la vittoria ai punti al candidato socialdemocratico. Da noi, ve lo ricordate, l’ultimo confronto a due è stato quello tra Romano Prodi e Silvio Berlusconi nel 2006, terminato (per sottolineare il fair play) con la promessa di quest’ultimo dell’abolizione dell’imposta sulla prima casa quando ormai l’avversario non aveva più la possibilità di rispondere.
In Germania c’è stato un solo faccia a faccia tra i due candidati di punta, per il resto hanno prevalso i talk show, una formula che si è affermata sia nella versione con pubblico (assortito tra sostenitori di partiti diversi), sia nella versione "salotto”, come con Vespa a "Porta a porta”. Tutto secondo copione, quasi come da noi, con una differenza, però, sostanziale. Solo occasionalmente e per breve tempo si verificava una situazione di sovrapposizione di voci. Ogni partecipante e, soprattutto il conduttore, rispettavano spontaneamente una serie di regole probabilmente più implicite che esplicitamente concordate in anticipo. La prima regola: per esporre un pensiero sufficientemente argomentato è necessario disporre di qualche minuto senza essere interrotti. Quindi, bisogna ascoltare chi parla e aspettare il proprio turno. Seconda regola: l’interruzione è consentita, in primo luogo da parte del conduttore, se l’intervento si protrae al di là dei limiti implicitamente fissati dalla prima regola. Terza regola: l’interruzione non deve protrarsi in una prolungata sovrapposizione delle voci che impediscono a chi ascolta di comprendere il significato dell’argomentazione. Quarta regola: bisogna assolutamente evitare di creare delle situazioni nelle quali lo scopo dell’interruzione sia di impedire all’avversario di esporre le sue argomentazioni. Quinta regola: devono essere evitati offese, pesanti insulti verbali, accuse miranti a screditare l’onesta, la sincerità e la credibilità dell’avversario anche quando si è convinti che l’avversario sia disonesto, mendace e poco credibile. Sesta regola: i segni non verbali (sorrisini, smorfie, espressioni di disprezzo, ammiccamenti, ecc.) devono essere contenuti entro i limiti delle "buone maniere”.
Basta aprire il sipario su uno qualsiasi dei nostri talk show per rendersi conto che da noi quelle regole non vigono; le interruzioni sono la regola. Per potersi imporre nella confusione che si crea, ognuno deve alzare il tono di voce, i disperati inviti di qualche conduttore a parlare "uno per volta, altrimenti a casa nessuno vi può ascoltare” cadono nel vuoto, la dinamica si trasforma frequentemente in una vera e propria rissa dove, per fortuna, i pugni vengono solo agitati e, sempre per fortuna, solo raramente si trasformano in un vero scontro fisico.
Se esistono delle regole, ancorché implicite, vuol dire che la tendenza a violarle esiste e ciò è certamente vero anche in Germania. Vi sono casi in cui anche le "buone maniere” possono e devono essere sospese. Scavare nel passato dei candidati a una carica pubblica per scoprire eventuali macchie che ne documentino l’indegnità morale, oltre che politica, è non solo legittimo, ma doveroso. Nelle ultime elezioni tedesche, ad esempio, a farne le spese sono stati, purtroppo, due esponenti dei Verdi che trent’anni fa avevano promosso una legge per la depenalizzazione dei reati di pedofilia. In un recente passato, un Bundespresident e alcuni ministri del governo Merkel sono stati costretti alle dimissioni per peccati non proprio veniali, anche se da noi verrebbero considerati tali. Anche in Germania scoppiano degli scandali che vengono utilizzati in campagna elettorale e hanno un impatto sui comportamenti degli elettori. In Italia gli scandali e il loro uso politico è diventato così frequente da aver prodotto un vero effetto anestetizzante sull’opinione pubblica; la dinamica di accuse e controaccuse, di denunce e di smentite, alimentano uno scetticismo diffuso che certo non giova alla credibilità dei rappresentanti delle istituzioni.
La disaffezione politica è un fenomeno diffuso un po’ in tutta Europa e non è certo solo imputabile a fattori di cultura politica. E, tuttavia, una democrazia dove la lotta politica si esprime nel confronto tra opinioni articolate e ben argomentate, di fronte a un pubblico che non ama le risse fa certamente una differenza.
Alessandro Cavalli
1Erano i conduttori delle prime trasmissioni politiche-elettorali della Rai negli anni Sessanta e Settanta, caratterizzate normalmente da un grande fair play.
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