L’iniziativa Kerry potrà anche non essersi conclusa in grande stile, ma il suo impatto sul conflitto israelo-palestinese è stato comunque significativo e fondamentale. Un processo politico forse futile ma la cui fine ha causato il crollo dello status quo che abbiamo conosciuto negli ultimi 47 anni mettendo in moto una serie di eventi che ci pongono di fronte a due alternative estreme su Israele e Palestina: la segregazione permanente di un intero popolo o la comparsa di un singolo stato democratico.
Le reazioni palesemente sproporzionate al rapimento e all’uccisione dei tre ragazzi israeliani e i raid aerei che, mentre scrivo, radono al suolo Gaza, sono stati definiti da Israele operazioni militari: l’operazione "Guardiani dei nostri fratelli” e l’operazione "Margine protettivo”. Nessuna delle due aveva niente a che fare con le cause scatenanti, la ricerca dei ragazzi o il lancio di missili da Gaza. Alcune città palestinesi che apparentemente godevano di status extraterritoriale sono state invase durante l’operazione "Guardiani dei nostri fratelli”. Più di 2.000 case sono state saccheggiate e circa 700 persone arrestate. Nessuno conosce la portata della devastazione di Gaza; 1.100 attacchi aerei fino ad oggi; bombardamenti assordanti e senza sosta, artiglieria dalla terra e dal mare, che ha prodotto una tortura collettiva; il ministro degli esteri israeliano che chiede la chiusura di elettricità e acqua e minaccia di distruggere totalmente le infrastrutture di Gaza; la prospettiva di quasi due milioni di persone imprigionate, ridotte alla mera sopravvivenza. È chiaro che le operazioni militari avevano un obiettivo, che sarebbero state avviate in ogni caso e che erano solo in attesa di un pretesto. Dovevano avverarsi per riempire il vuoto lasciato da Kerry. La "chiusura” era necessaria, ed era chiaro che l’Autorità palestinese, che aveva diversi mesi di tempo per prendere un’iniziativa e rafforzare così la posizione dei palestinesi, non l’avrebbe messa in atto, nonostante Martin Indyk, il capo dei negoziati americani e ex leader dell’Aipac, abbia fatto ricadere la responsabilità del fallimento della trattativa unicamente su Israele.
La fine dell’iniziativa Kerry ha segnato il culmine di una campagna decennale, sistematica e deliberata, volta a eliminare la soluzione dei due stati. Sin dall’inizio, nel 1967, i governi israeliani hanno negato ufficialmente l’esistenza dell’occupazione affermando che, dato che i palestinesi non hanno mai avuto un loro stato, non hanno alcun diritto di nazionalità su quel territorio. Il Partito Laburista negò l’applicabilità della quarta convenzione di Ginevra, la quale protegge le popolazioni civili vittime di atti ostili che non hanno possibilità di difendersi, formulata specificamente con l’intento di fornire la protezione negata agli ebrei durante l’Olocausto. Il Partito avviò un progetto di creazione di insediamenti, il cui numero è ora salito a duecento, che viola palesemente il diritto internazionale, che proibisce alla potenza occupante di trasferire la sua popolazione civile nel territorio occupato.
In realtà, nell’eliminazione della soluzione dei due stati, il Partito laburista (il "Sionismo Socialista”) ha più colpe del Likud di Begin, di Sharon e di Netanyahu. È stato il Partito laburista a governare durante quasi tutti i sette anni del processo di pace di Oslo, ed è stato il Partito laburista a decidere di raddoppiare la popolazione israeliana negli insediamenti durante quel periodo. Lo stesso partito frammentò i territori palestinesi, riducendoli a enclave piccole e impoverite e impose chiusura e ostacoli economici al movimento palestinese negli ultimi 21 anni. Infine fu il Partito Laburista (e non il Likud, che invece era contro il progetto) a dare inizio alla costruzione della barriera di separazione, il muro dell’Apartheid. Il Likud era un partner consenziente, come i partiti secolaristi e religiosi dal centro all’estrema destra, ma è toccato a Netanyahu distruggere la soluzione dei due stati una volta per tutte aumentando le sue richieste a livelli intollerabili: i palestinesi avrebbero dovuto rinunciare ai loro diritti nazionali e civili e riconoscere Israele come stato ebraico; Israele avrebbe dovuto mantenere in modo permanente il controllo su Gerusalemme Est, sulla Valle del Giordano e sui principali blocchi di insediamento (circa un terzo della Cisgiordania), insieme alle risorse idriche e di gas naturale, la sfera elettromagnetica del paese (le comunicazioni) e l’intero spazio aereo. Ha lasciato ai palestinesi meno di un Bantustan, una prigione composta dalle settanta isole delle aree A e B della Cisgiordania, i ghetti a Gerusalemme Est, strette enclave all’interno di Israele e la gabbia di Gaza; metà della popolazione del territorio fra il Mediterraneo e il fiume Giordano, confinata in decine di isole, sul 15% della Palestina storica.
Le operazioni "Guardiani dei nostri fratelli” e "Margine Protettivo” rappresentano l’imposizione di un regime di segregazione, di prigionia totale di un intero popolo. La distruzione e l’odio in apparenza ciechi e atavici scatenati contro i palestinesi nelle ultime settimane non sono soltanto un altro "round di violenza” in una lotta senza fine. Sono la dichiarazione di una nuova realtà politica. Il messaggio è chiaro, unilaterale e definitivo: questo paese è stato giudaizzato: ora è Territorio di Israele che sarà incorporato nello Stato di Israele. Voi arabi (o "palestinesi”, come siete soliti chiamarvi), non siete un popolo e non avete alcun diritto nazionale, di certo non nel nostro paese esclusivamente ebraico. Non siete una "parte” di un "conflitto”. Una volta per tutte dobbiamo disilludervi dell’idea che noi stiamo negoziando con voi. Non l’abbiamo mai fatto e mai lo faremo. Non siete nient’altro che prigionieri nelle celle di un carcere, e con la presente dichiariamo attraverso le nostre azioni militari e politiche che avete tre opzioni dinanzi a voi: potete arrendervi da prigionieri come vi è richiesto, nel qual caso vi permetteremo di rimanere nelle vostre celle-enclave. Potete andarvene, come hanno fatto centinaia di migliaia di persone prima di voi. Oppure, se decidete di resistere, morirete.
La segregazione è peggio dell’apartheid. Non finge nemmeno di ricorrere a un contesto politico per lo "sviluppo separato”, imprigiona semplicemente gli oppressi e li deruba di tutti i loro diritti collettivi e individuali. È la massima forma di oppressione prima del genocidio vero e proprio, che deruba un popolo della sua cultura e della sua capacità di riprodursi; è una forma di genocidio culturale che può portare a risultati ancora peggiori. È questo che Israele ha lasciato ai palestinesi, è questo il significato del bombardamento di Gaza, del terrorismo in Cisgiordania e della continua distruzione di case beduine e palestinesi all’interno di Israele.
Fermo restando che l’apartheid e la segregazione sono soluzioni assolutamente inaccettabili e, anzi, praticamente insostenibili, nel generare sempre più violenza e conflitti nell’instabile Medioriente, Israele ci ha di fatto lasciato una sola via d’uscita percorribile, giusta e duratura: un unico stato democratico in Palestina/Israele che garantisca i diritti individuali e collettivi di tutti i suoi cittadini. Per questo dobbiamo lottare. Le operazioni militari di Israele segnano l’inizio del fallimento dell’Occupazione. È doveroso che la società civile palestinese, insieme ai compagni della sinistra critica israeliana, formuli l’assetto del nuovo stato, assicurando a ognuno un ruolo nel futuro di quella terra, iniziando la battaglia per la sua costruzione. Nonostante la sofferenza del momento, l’opinione pubblica di tutto il mondo ci sostiene. Soltanto un’efficace mobilitazione da parte nostra sconfiggerà la segregazione.
Jeff Halper
Titolo originale "Israel’s message
to the Palestinians: Submit, leave or die”
(traduzione a cura di Sarah Baldiserra)
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