Cos’è e da cosa nasce il Contratto mondiale dell’acqua?
Tutto è nato nel 1998 per iniziativa di Riccardo Petrella, economista e docente di mondializzazione all’Università Cattolica di Lovanio, che è funzionario della Commissione Europea ed era stato responsabile del programma dell’Unione Europea per la scienza e la tecnologia. Nel ‘98 insieme a Mario Soares aveva scritto il Manifesto mondiale dell’acqua, dove sostanzialmente si dicono due cose, innanzitutto che l’accesso all’acqua dev’essere considerato un diritto umano fondamentale e in secondo luogo che l’acqua va considerata bene comune dell’umanità. Il fine del Manifesto era giungere a un Contratto mondiale dell’acqua; contratto non nel senso commerciale, ma in quello di patto tra generazioni per preservare l’acqua di qualità buona e in quantità sufficiente per chi oggi abita il pianeta e per chi lo abiterà in futuro, secondo il principio dello sviluppo sostenibile. Per diffondere il contratto è stato creato un Comitato internazionale per un Contratto mondiale dell’acqua composto da diverse personalità, tra cui l’economista indiana Vandana Shiva e altri per lo più presenti al forum sociale di Porto Alegre. Dal livello internazionale si è poi discesi ai comitati nazionali ormai presenti in molti stati, attorno ai quali, infine, si articolano i comitati locali, strutture di volontariato per la cui costituzione bastano 10 persone che possono quindi rapportarsi alle istituzioni come Contratto mondiale dell’acqua. In Italia esistono due Ong che coordinano il lavoro dei comitati e sono il Cicsi, che raggruppa 32 Ong che si occupano di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo, e il Cevi, (Centro di volontariato internazionale), con sede a Udine. Il Cicsi ha un ruolo più politico, il Cevi invece coordina l’aspetto organizzativo. Petrella è il presidente del comitato italiano ed è segretario di quello internazionale di cui è presidente Soares. Inoltre nel 2001 a Parigi si è costituita la Coalizione mondiale contro la privatizzazione e la mercificazione dell’acqua, che sostiene le posizioni e le iniziative del Contratto.
Quali sono gli indirizzi che si stanno imponendo sul piano globale nella gestione dell’acqua?
Sono in atto precise strategie e a questo proposito consiglio la lettura de La privatizzazione del mondo di Jean Ziegler, relatore all’Onu per il diritto all’alimentazione, dove si chiama in causa il Consesso di Washington. Nel 1989 uomini d’affari ed economisti di fama internazionale si sono trovati nella capitale degli Stati Uniti e hanno deciso che la strategia politica internazionale dei successivi venti o trent’anni avrebbe dovuto essere la liberalizzazione e privatizzazione di tutte le attività umane ove possibile, proprio perché il problema era permettere al capitale globale, che già allora presentava problemi di remunerazione, di rinnovarsi e accrescersi. L’imperativo quindi era un progressivo innalzamento dei profitti, naturalmente in un’ottica autoreferenziale. Tra i settori individuati da liberalizzare, deregolamentare e privatizzare c’erano anche quelli che riguardano i beni fondamentali per la vita, come l’acqua. Le scelte strategiche quindi sono diventate politiche ed economiche. Facciamo il caso dell’Italia che in questo momento rappresenta una delle punte più avanzate del processo in corso sul piano globale. Dal 1994 esiste la legge 36, nota anche come legge Galli, che prevedeva il riordino secondo criteri industriali di tutti i gestori dell’acqua allora esistenti sul territorio nazionale, quasi 14.000, un numero sicuramente esagerato. A questo scopo sono state create delle nuove figure istituzionali, gli Ato, Ambiti Territoriali Ottimali, che hanno dimensioni provinciali e sono preposti al coordinamento delle attività di gestione dell’acqua (normalmente il presidente dell’Ato è l’assessore provinciale all’ambiente o il presidente della Provincia). L’Ato quindi deve nominare un soggetto gestore per tutto il ciclo integrato dell’acqua nell’ambito provinciale, dunque un unico gestore per un’unica realtà territoriale. La legge Galli però ha anche stabilito il principio che la gestione dell’acqua dev’essere fatta secondo criteri industriali; l’ente locale infatti deve limitarsi a garantire i diritti fondamentali attraverso il recupero delle infrastrutture, mentre la gestione viene separata e affidata a soggett ...[continua]
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