La decisione di partire per il servizio civile internazionale e di andare in Africa è maturata nel periodo del G8 a Genova. Ho detto: “Vabbé, però mi piacerebbe fare qualcosa oltre a queste giornate, impegnarmi 365 giorni all’anno”.
Facevo la tesi sul ruolo della radio durante il genocidio in Rwanda, quindi nel 2003 sono andata a fare un mese di volontariato in un campo estivo in Rwanda, con gli Amici dei popoli di Bologna. Lì sono stata benissimo, mi è piaciuto, mi ha dato tantissimo e ho pensato che forse poteva diventare una “carriera” per la vita, e quindi ho detto: “Bene, mi laureo e riparto”. E infatti mi sono laureata a luglio, a novembre ho fatto il bando per il servizio civile e sono partita. Avrei preferito una capitale. Invece poi davanti alla scelta ho pensato: “No, però un’esperienza rurale può forse darmi delle cose che la grande città non potrebbe darmi”. Così ho deciso di accettare il progetto che mi veniva proposto. E quindi Benin.
Sono stata la prima volontaria inviata sul posto e ci sono state difficoltà tecniche immediatamente perché qui, nel breve colloquio che avevo avuto prima di partire, mi era stato detto che c’era questo ospedale diocesano che aveva ricevuto dei computer, quindi si trattava di informatizzare l’ospedale, di fare alfabetizzazione informatica ai dipendenti, e poi mi hanno parlato di una radio. Tutto fantomatico. Arrivata là (a parte l’iniziale acclimataggio, qua meno 10 gradi, a Cotonou, che è la capitale economica del paese, dove c’è l’aeroporto, 35 gradi, in sei ore un cambio di 45 gradi…) comincio ad andare all’ospedale e mi rendo conto che sì, i computer ci sono, ma non c’è l’elettricità, se non 4 ore al giorno, quindi non si poteva informatizzare niente, non si poteva fare nulla. La radio, poi, in realtà era una ricetrasmittente usata dalle varie parrocchie per comunicare tra loro. Bisognava inventare tutto.
Con un po’ di consigli dell’Ong, perché ero alla prima esperienza, abbiamo pensato di fare un sito per l’ospedale, anche per agevolare la ricerca di finanziamenti. L’ospedale è in crescita ma, essendo una struttura privata, non riceve aiuti dallo Stato e per loro è difficile mandarlo avanti. Per fare un sito non ci vuole poi molto tempo -ho pensato- con 11 mesi davanti… Così nel frattempo ho cercato di muovermi e vedere cosa potevo fare, e ho cominciato a collaborare con l’ospedale, con le suore e il personale laico, che facevano delle animazioni per veicolare informazioni sanitarie e igieniche, tipo: “Lavatevi le mani prima di mangiare”, che è una pratica non diffusa, oppure cosa sono i microbi e perché sono pericolosi, come curare le principali malattie... Andavo a fare queste animazioni in quattro villaggi. Ovviamente con un interprete perché a scuola vanno poche persone, quindi il francese non lo parla quasi nessuno. Erano animazioni femminili: c’era una grande richiesta da parte loro; questa attività era tutt’altro che imposta e infatti c’era una grande partecipazione.
Contemporaneamente facevo l’assistente sociale in ospedale con un gruppo di 30 malati di Aids seguiti dalla Caritas beninese che fornisce cibo, beni di prima necessità e medicinali, il tutto gratuitamente. Sono malati che hanno perso il lavoro a causa della malattia, per cui sono impossibilitati a sostenere le spese scolastiche dei figli; lì si tenta comunque di garantire loro una vita dignitosa perché sono ormai privi di risorse. Questi malati si incontrano di tanto in tanto, io partecipavo alle riunioni, andavo a casa con loro, accoglievo nuovi malati. Con un assistente sociale andavo poi a fare delle animazioni sull’Aids nelle scuole e nei villaggi.
Da questa doppia attività di animazione mi è nata l’idea (forte del fatto che me n’ero occupata per la tesi), di fare delle trasmissioni radiofoniche sui temi sanitari e igienici, perché comunque là tutti hanno la radio, e ciò che dice la radio è verità assoluta. Se in un villaggio, a parte la distanza, uno deve andarci in motorino (questo il mezzo che mi avevano messo a disposizione) poi aspettare le donne, cominciare l’attività, salutarsi... si perde tutto un pomeriggio, e hai fatto un villaggio solo. Con la radio puoi raggiungere almeno 100 villaggi. Certo, non è altrettanto efficace perché loro con le immagini trattengono molto di più le informazioni, però comunque a forza di fare un quarto d’ora di “lavati le mani, lavati le mani, lavati le mani” qualcosa passa. E ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!