Siamo abituati a considerare la modernità all’insegna della separazione tra politica e religione, così come tra spazio politico e spazio privato. Con i tuoi lavori sembri mettere in discussione questi aspetti. Di cosa parliamo oggi quando parliamo di modernità?
La modernità è un concetto di cui è ancora oggi difficile dare una definizione. Potremmo dire che tutta la teoria della sociologia, e delle scienze sociali in generale, è impegnata nel tentativo di definire cosa è moderno. Non esiste evidentemente una sola definizione, non si può fare una lista di condizioni e requisiti. In passato si parlava di alfabetizzazione, urbanizzazione, emancipazione delle donne, ecc. Si trattava di teorie evoluzioniste, perché nella narrazione della modernità si parte sempre da un’idea in base alla quale le esperienze vengono in un certo senso gerarchizzate nel tempo e nello spazio. Secondo questo tipo di visioni alcuni si troverebbero in una situazione di vantaggio o di anticipo mentre altri, di conseguenza, in ritardo o in carenza di qualcosa. Rispetto ai paesi della periferia si è sempre operato all’insegna di questo deficit: la maggior parte dei lavori sulla “periferia” di questa modernità (il concetto di periferia evidentemente è sempre relativo ad un centro) è sempre stata orientata a misurare la distanza che separava i moderni dai “non moderni”. Cercherò di dare un esempio pratico e di attualità: la laicità nella Turchia.
In questa concezione la laicità, la secolarizzazione, è un sine qua non della modernità. Oggi, tuttavia, la modernità è costretta a confrontarsi con la religione.
La Turchia è un esempio molto interessante perché è un paese a maggioranza musulmana che ha subito una secolarizzazione all’europea, potremmo dire persino alla francese, inizialmente adottata e sostenuta dalle élites turche, e in seguito da tutta la società.
Ritengo che il modo attraverso cui avvengono questi processi è sempre molto interessante perché ciò che emerge non è mai esattamente la riproposizione identica del modello iniziale, bensì qualcosa di “reiterato”, come diceva Derrida. Vi è, cioè, una “référence”, un riferimento all’originale, ma vi sono, allo stesso tempo, delle produzioni e riproduzioni, delle riappropriazioni, a volte persino una perversione del modello originale. Esiste sempre un piccolo “accento”, come dice Appadurai, una piccola differenza.
Io credo che sia in questo piccolo spazio, in questa piccola differenza, che bisogna rivedere le storie della modernità. Secondo le analisi moderniste si potrebbe ritenere, e si è ritenuto, che, se rapportata al modello francese, la laicità in Turchia non esista. Ci troveremmo pertanto di fronte ad una mancanza. Io dico che invece di un difetto, di una mancanza, vi è piuttosto una “extra” modernità, e in questo caso una “extra” laicità. Intendo dire che coloro che non sono nel centro della modernità hanno adottato la modernità come una idea feticcio, hanno addirittura esagerato: vi è quella che definisco una “extra-vaganza”, un elemento extra. Il termine “extra” ha vari significati: si riferisce sia a qualcosa di più, sia a qualcosa che sta al di fuori da quello che è considerato il centro della modernità. Mettendo l’accento su una analisi di questa extra-occidentalità io cerco di mostrare come essa stessa sia moderna. Trovo che oggi si stia creando una distanza tra la modernità e l’Europa: ovvero, se prima la storia della modernità era iscritta nella storia dell’Europa, oggi si può dire che c’è una sorta di divorzio tra la modernità e l’Europa, o quanto meno, che l’Europa non ne è più l’unica detentrice.
Dirò di più, ritengo che oggi sia necessario misurare la modernità europea nello specchio degli altri, per così dire. Dunque, se fino ad ora le “pratiche” dell’altro venivano viste in rapporto a questa modernità (o invece si vedeva l’altro in un’ottica relativista come talmente diverso da non permetterne un confronto) oggi è l’Europa che deve impegnarsi a specchiarsi nell’“altro”. Questo lavoro, questo “decentramento” dell’Europa, è estremamente utile per prendere consapevol ...[continua]
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