Ci dici qualcosa della tua storia?
Ho qualche ricordo del collegio, della scuola non ho ricordi particolari.
Un’infanzia come tante altre. I giochi più belli erano quelli che facevamo sulla riva della fogna perché c’erano le bande. Ovviamente si parla di 25 anni fa, per cui la parte di Cesena oltre la Giula era la Cesena dei condomini, quella nuova. Allora il gioco classico era la città vecchia contro la città nuova crescente. Il terreno di scontro era appunto la Giula che era la linea di confine, e come tutti i giochi delle bande di allora riecheggiavano ricordi del dopo guerra, un certo modo di essere cattivi. Non praticavo sport come molti omosessuali, non giocavo a pallone da bambino, non ho mai afferrato il fatto di dover correre dietro a un pallone e doverlo portare via a uno che mi marcava o non me lo la­sciava prendere, non ho mai preso gusto a questo gioco.
Non avevo il padre e, ci tengo a specificarlo, non è che sono omosessuale per questo. Credo di aver avuto il padre più fantastico che un adolescente possa avere, perché non essendoci te lo puoi immaginare bello, forte, come ti serve in certi momenti. Mio padre è stato l’avventuriero, il bandito, il buono, il cattivo. L’ho sempre prefigurato in base alle esigenze del periodo che vivevo. Ricordo i miei amici che dicevano: “non andiamo in quel bar perché c’è il mio babbo”, o “c’è l’amico del mio babbo”; io non ho mai avuto questo problema, sono sempre andato dovunque, ho sempre fatto quello che volevo perché mia mamma non usciva mai di casa.
Che altro. Del lavoro posso dire che è mio, sono molto orgoglioso perché me lo sono costruito e inventato. Ho una clientela che se non fossi gay dovrei far finta di esserlo, perché altrimenti non potrei più fare l’arredatore. E questo perché gli anni 80 sono stati gli anni della trasgressione, te l’andavi a comprare al supermercato adeguatamente impacchettata; andava bene tutto purché fosse un attimino adeguatamente trasgressivo. Sai, poi la gente è curiosa, ti chiede come va con il tuo ragazzo, cosa succede, se litigate, se state bene, c’è una parte di curiosità soprattutto da parte delle donne, mentre gli uomini sono sempre un attimino più imbarazzati. Le donne vanno molto più tranquille perché sen­tono come un tratto di unione fra il mondo femminile e quello maschile. Però anche con il cliente maschio è meglio essere gay nel caso dell’arredamento, perché hai un tipo di rapporto meno conflittuale: non sei l’altro maschio che in­vade il suo territorio. Poi è venuto l’aids con i gay che morivano e portavano la malattia. Ma ora, da quando l’aids è diventata una malattia comune e muoiono anche i normali, c’è stato un assestamento. Ad esempio va molto essere gay se però hai una posi­zione regolare.
Gli anni della trasgressione sono stati anche gli anni del movimento gay. Non è stato un pe­riodo di liberazione?
No, io in quel periodo di libertario non ho vissuto niente. I discorsi di omosessualità molto più chiari sono iniziati sui 18 anni, già in età matura. Non era legato ai concetti di liberazione, sono state scoperte molto dolorose e fati­cose... poi è venuta una sorta di orgoglio e di rivalsa e che quindi rendeva molto più ideologica la cosa e molto più combattiva. Un meccanismo di difesa, perché quando hai bisogno di difenderti puoi anche attaccare. Quando hai biso­gno di cercare una tua identità o magari hai bisogno di espanderla molto per riservarti qualcosa. Io non sono mai stato un militante dei vari movimenti omosessuali pur avendo conosciuto tanta gente che lo faceva. Ho sempre avuto una posizione di terza o quarta fila però. Ma sicuramente ho dato l’impressione di essere molto più deciso, più duro e più violento di quello che sono. Non mi sentivo così, ma c’è un ambiente sociale che percepisce le cose non per come sono ma per come le vuol vedere. Sicuramente in quel microcosmo che erano Forlì e Cesena alla fine degli anni 70, credo di essere stato un piccolissimo punto di riferimento...
Hai nostalgia di quel periodo?
Per la verità avrei voluto vivere magari 20 o 30 anni fa, quando la vita dell’omosessuale era diversa. Se è vero, come ormai si teorizza, che noi siamo stati fra i grandi fautori della liberazione sessuale, non è escluso che in quanto omo­sessuali, come categoria stretta, ci siamo dati una zappa sui piedi. Perché negli anni 30, 40 e 50 c’era una situazione omoerotica di uomini che praticavano una sessualità tra uomini per bisogno. Nota bene, per bisogno, non per scel ...[continua]

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