Padre Ennio Pintacuda, gesuita, direttore del Centro Studi "Pedro Arrupe-Scuola di Formazione della politica" di Palermo, all'indomani della sua conferenza a Forlì organizzata dalla Rete, pur stretto fra un impegno a Rimini, una telefonata di Leoluca Orlando e le premure della scorta, ci ha, con grande disponibilità, rilasciato questa intervista.

Padre Pintacuda, cosa sono diventati questi partiti alla luce di quanto sta emergendo a Milano?

E’ difficile dare uno sguardo completo, penetrante, ai partiti. Ci sono segni di molte ambivalenze nel giudizio su di essi, per cui l’analisi è molto sofferta, tormentata ed è difficile procedere a giudizi definitivi.
Da un lato, soprattutto l’inchiesta di Milano ha dimostrato una presenza dentro di essi di un deterioramento, non come fatto occasionale ma quasi come fatto strutturale. Non è solo una crisi legata a problemi organizzativi o di rapporto, di rappresentanza con le fasce sociali, con le classi, con gli spezzoni di società di cui dicono di essere soggetti di rap­presentanza. La crisi ha oltrepassato la soglia normale che talvolta, nel processo storico, le istituzioni possono rag­giungere. Questo perché la corruzione è qualcosa di più di quello che può essere un momento passeggero di necessità di sostentamento. Siamo di fronte ad un sistema quasi scientifico di rapporto dei partiti col denaro pubblico, con gli investimenti nella città, nella società.
Ed è un rapporto per cui il potere è esercitato per ottenere benefici per il partito e anche per le persone, con una identi­ficazione fra uomini dell’apparato, nomenklatura e partito stesso.
E’ una “tipologia”, che conosciamo già, provata anche da procedimenti giudiziari, di rapporto fra poteri corrotti e or­ganizzazioni criminali, mafiose.
Certi modelli di comportamento vanno assomigliandosi: le tangenti estorte, per i partiti o per un beneficio personale, sono come il denaro pubblico estorto dai mafiosi negli appalti. Il dato di fatto ineludibile, nel momento in cui si tro­vano coinvolti i grossi partiti che hanno governato e che avrebbero dovuto essere il sostegno della democrazia, è che sono sullo stesso piano con forme di potere corrotto che noi sappiamo destabilizzanti e pericolose per la democrazia.
D’altra parte, però, constatiamo che questi partiti, nella loro globalità, sono fortemente radicati nel consenso della gente, un consenso che deriva da motivazioni ideali e da una forte rendita del voto ideologico più che d’opinione.
Non appare traccia di differenze fra i vari partiti...
Siamo di fronte ad un momento politico che non ha segnali chiari, è molto complesso, molto aggrovigliato. Per qu­anto riguarda i partiti direi che per la Dc il deterioramento è ancora più drammatico, perché è qualcosa che viene da molto lontano. Per il Pds, ad esempio, è un fatto degli ultimi tempi. Almeno nella conoscenza, perché esistenza e conoscenza sono due cose molto diverse. Nella Dc invece è un fatto “datato”, nel momento in cui questo partito, in determinate zone, ha scelto di avere una maggioranza consolidata attraverso il voto di scambio, attraverso la scelta del voto in quanto tale, senza un giudizio di qualità. Negli anni settanta ci fu da parte di taluni uomini dell’apparato una strutturazione del partito in un modulo organizzativo burocratico e si decise di prendere il voto anche dei settori che tradizionalmente erano legati al blocco agrario, con un passaggio del supporto mafioso da questo blocco alla Dc. Questo passaggio avvenne con un segnale preciso che fu l’assassinio di un esponente Dc nella zona di Camporeale, fortemente mafiosa.
Fu con la segreteria di Giovanni Gioia, delfino di Fanfani in Sicilia, che si cominciò a intravvedere quel concetto di “voto di scambio”, di voto che non ha odore e che può essere filtrato, purificato da un uso proprio da parte del partito. Questo è stato chiaro col sacco edilizio di Palermo e di altre città non solo siciliane. I delitti delle bande mafiose, i de­litti politici hanno reso questo fatto molto chiaro per Palermo. Si è invece rimosso quello che contemporaneamente succedeva a Roma, con i rapporti fra i palazzinari e la corrente andreottiana.
Lo stesso si può dire da un certo periodo a questa parte per il PSI. Questo ora è un partito d’apparato, di potere. Quando si diventa tali, quando la denominazione della sociologia politica è “partito pigliatutto”, è necessario avere consistenza, avere voti. Da qualunque parte provengano. L’uso del denaro pubbli ...[continua]

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