Ci sono argomenti sui quali secondo me non è sufficiente la chiarezza dell’esposizione per essere ben interpretati; intorno ad argomenti come quello del “revisionismo” si fa un opposto gioco di pregiudizi e si tende quindi a precollocare gli interlocutori. Bisogna, allora, prima intendersi sull’oggetto del contendere. Nel contesto del discorso su Irving e sul divieto a farlo entrare in Italia secondo me c’erano due questioni che si sovrapponevano: una era quella della libertà d’espressione, l’altra era quella dei contenuti del revisionismo e, se vogliamo, anche la qualità di Irving. In linea di massima credo che tutte le opinioni, sintanto che non vengono finalizzate direttamente a un impiego criminale, abbiano diritto di essere espresse. Conseguentemente, credo che sarebbe stato anche nell’interesse di chi lo contestava far parlare Irving. Questo si ricongiunge al problema della qualità di Irving che, per quel poco che ne ho letto, credo non sia tale da giustificare l’interesse che gli viene dato. Secondo me è un giornalista storico che, malgrado la sua grande sottolineatura sull’uso degli archivi, non ha alcun respiro di carattere teorico e interpretativo.
Il “revisionismo”, se preso in astratto, come filone di ricerca storica quale forse poteva essere in origine, penso sia una espressione lecita della curiosità dell’intelligenza umana. Per l’unica parte del discorso revisionista per cui ho una qualche cognizione diretta, cioè i primi due libri di Faurisson, usciti, se non ricordo male, nell’83-84, mi pareva che fossero sufficientemente legati alla dimensione di una ricerca storica discutibile, ma onesta. Mentre adesso, a mio parere, il “revisionismo” è semplicemente uno strumento di risorgenza, su due versanti opposti, di una tematica che trovo particolarmente sgradevole, cioè l’antisemitismo usato politicamente. E dico nei due versanti perché, purtroppo, tutto il battage intorno alla questione del “revisionismo” è dovuto a due interessi confliggenti e convergenti che hanno cercato di portare un elemento di rottura diretta nel dibattito delle idee degli anni ’90; dopo che negli anni ’80 lo scollamento delle grandi categorie, destra, sinistra, centro, aveva portato a grossi passi avanti nel dialogo fra non conformisti di diverso segno.
Personalmente ho avversato la penetrazione di tematiche revisioniste negli ambienti culturali di quella parte del mondo di destra che si era rivolta con una certa curiosità alla Nuova Destra e per questo vengo accusato da varie riviste e rivistine della destra radicale (“Orion”, “Eliodromos”) di essere servo di non si sa bene quali interessi occulti. Sulle riviste della Nuova Destra abbiamo affrontato ripetutamente la questione del revisionismo storico sul fenomeno fascismo, sul nazionalsocialismo, eccetera, ma non si è mai accennato alle tesi revisioniste sull’antisemitismo. Purtroppo l’antisemitismo è da un secolo veicolo di manipolazioni ideologiche in un senso o nell’altro; è un catalizzatore di pulsioni umorali in negativo. Francamente mi sembra venuta l’ora di espellerlo dal dibattito, non credo che debba avere più ragione di esistere una questione “antisemitismo” nell’Europa contemporanea. Dal mio punto di vista, dal punto di vista della Nuova Destra, la questione del diritto all’affermazione delle specifiche identità è stata risolta una volta per tutte. La questione del lobbysmo, degli interessi intervenienti in determinati contesti politico-economici, va affrontata caso per caso, prescindendo totalmente dalla appartenenza dell’uno o dell’altro dei soggetti ad ambiti identitari culturali o religiosi. Abbiamo sempre ribadito un’assoluta ostilità alle letture complottistiche della storia, che sono state storicamente un elemento di autocastrazione intellettuale della destra radicale. Rifiutiamo in blocco questo tipo di letture perché sono una soluzione semplificatoria, che non ha nessuna ragion d’essere. Io non sono mai stato, per storia personale, né parte della tragedia ebraica, né minimamente parte della tragedia di altro genere, di segno nazionalsocialista, razzista, eccetera. Tuttavia non ho mai negato, anzi lo affermo, l’interesse e il diritto all’interesse per una revisione storica di fenomeni come il nazionalsocialismo, ma questo in una prospettiva che indaghi, per esempio, la sua dinamica socia ...[continua]
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