Da qualche tempo si parla di riprendere a costruire centrali nucleari, tant’è che il nuovo governo Berlusconi ha promesso di cominciare i lavori entro pochi anni. Però, c’è anche chi sostiene che le centrali nucleari, oltreché pericolose, non sarebbero necessarie e si potrebbe ricorrere alle energie rinnovabili. Tu cosa ne pensi?
Io credo che, per cercare le soluzioni da adottare, occorra innanzitutto ragionare sulla questione della disponibilità di energia elettrica in Italia senza preclusioni aprioristiche. Intanto va chiarito che, in questo momento, il deficit di generazione di potenza è limitato. L’Italia richiede una punta di potenza di circa 60.000 megawatt; l’energia associata per circa il 15% viene dall’estero, mentre il restante 85% è coperto per il 40% con centrali a turbogas, ad alto rendimento, e ad olio combustibile, che hanno rendimenti oggi non ottimali, e per il 20% -cioè per 13.000 megawatt- dalle centrali idrauliche che hanno fatto i nostri nonni. Già questa semplice ricognizione sulla nostra generazione di energia ci mostra come noi dipendiamo decisamente da gas -importato allo stato gassoso- e petrolio e come sia quindi assolutamente necessaria una diversificazione delle fonti.
Questa necessità di diversificare le fonti era chiara già negli anni ’60 e, allora, ci si era adeguati sulla base delle tecnologie dell’epoca. Con i cambiamenti tecnologici e, soprattutto, politici, questo concetto è però venuto via via a mancare, cosicché oggi non abbiamo più una politica energetica degna di questo nome. Come ho detto, comunque, il nostro deficit nella generazione di potenza è limitato, mentre più urgente, e meno nota, è la necessità di interventi sui sistemi di trasporto ad alta tensione. Se, infatti, uno guarda alla distribuzione della produzione di energia elettrica in Italia, vede che essa è concentrata prevalentemente nel sud e nelle isole, il che vuol dire che c’è un flusso di energia dal sud verso il nord attraverso una rete ad alta tensione che, per gran parte, soprattutto sulla dorsale adriatica, è debole. Questo implica una elevata dissipazione di energia: complessivamente le perdite dovute al sovraccarico delle linee ad alta tensione, recuperabili col potenziamento delle linee stesse, è più o meno pari all’energia producibile da una centrale da 2.000 megawatt.
Il sovraccarico della rete, inoltre, la porta a regimi assai vicini all’instabilità, aumentando la possibilità di black out. In relazione agli aspetti della stabilità, esistono criteri di gestione della rete che vanno rispettati e fu proprio un problema di gestione che, nel settembre 2003, provocò l’incredibile black out dell’intera rete nazionale. Infatti, per poter funzionare bene anche quando l’energia richiesta è limitata, una rete deve avere molte macchine generatrici in esercizio, seppur a basso carico, e se si verificano delle perturbazioni sulla rete elettrica alcune di queste macchine devono essere immediatamente messe in produzione. Tenere queste macchine in funzione a basso carico, però, ha un costo elevato e per motivi di pura speculazione economica, in quella notte, troppe centrali erano spente, cosicché l’intera rete è andata fuori servizio quando, a causa della caduta di un albero in Svizzera, abbiamo perso i collegamenti con l’estero.
Tenere ferme molte centrali in situazioni di basso carico, però, è contrario ad una norma europea: il criterio di esercizio negli scambi di energia elettrica transfrontalieri è che sia possibile che una linea di collegamento con l’estero possa essere persa all’improvviso. Il problema a monte di tutto questo è anche dovuto al modo con cui, nel 1999, in Italia è avvenuta la liberalizzazione dell’energia. Con la liberalizzazione si è innanzitutto separata la produzione dell’energia dalla sua trasmissione e distribuzione. Si è quindi privatizzata -entro certi limiti, perché l’Enel è rimasta ancora il produttore del 50% dell’energia nazionale- la produzione, mentre la rete di trasmissione e parte della distribuzione sono state concentrate in un unico ente, Terna Spa, che all’epoca era un ente pubblico, com’è giusto che sia, p ...[continua]
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