Il 27 gennaio è la giornata della memoria in Europa.
Premetto che oggi è difficile parlare della giornata della memoria senza metterla in relazione con quello che sta avvenendo in Medio Oriente. Non dico che sia una via obbligata, ma c’è una sorta di coincidenza tra questo anniversario e la cronaca dei giorni trascorsi che rende difficile, per non dire impossibile, non stabilire un rapporto. Lo si vede nei commenti della stampa, di una certa parte dell’opinione pubblica in vari paesi europei, come negli slogan che si sentono scandire nelle manifestazioni. D’altra parte questo stesso discorso politico è soggiacente alla strategia israeliana nei Territori occupati da quarant’anni. Fin dalla Guerra dei sei giorni, Israele ha presentato l’Occupazione dei territori palestinesi motivandola con un’esigenza di autodifesa e come la condizione per evitare un nuovo Auschwitz. Un tema ricorrente già in passato. Basti ricordare che si parlava di “Linea Auschiwtz” per definire le frontiere israeliane precedenti la Guerra dei sei giorni. Questo significa che implicitamente -anche se Olmert e la Livni non l’hanno mai detto nelle conferenze stampa- agli occhi dello Stato Maggiore dell’esercito e dell’élite politica israeliana (destra e sinistra incluse) la memoria di Auschwitz continua a legittimare la loro politica.
Di qui le equazioni Hamas uguale “nuovo nazismo”, lo stesso Sharon aveva definito Arafat il “nuovo Hitler”. Anche gli slogan -che io non condivido- che parlano di “Gaza-cidio” o della Naqba come di una nuova Shoah confermano che un legame esiste. Io in realtà trovo queste assimilazioni non solo sbagliate, ma controproducenti. Se infatti definiamo l’azione di Israele un genocidio, ed essendo questo crimine perpetrato da un esercito, allora la comparazione va fatta con la Shoah. A quel punto però la distanza tra i due eventi diventa abissale perché da un lato ci sono sei milioni di morti, dall’altro ce ne sono mille.
Questi paragoni pertanto, se da un lato possono servire a provocare delle reazioni forti, dall’altro paradossalmente rischiano di sminuire la portata di quello che sta succedendo a Gaza, che invece è estremamente grave.
Qual è il significato di questa ricorrenza in Europa?
La memoria della Shoah, storicamente, in Europa occidentale, è stata una specie di motore per i movimenti impegnati contro il razzismo e in generale contro le forme di esclusione. Negli anni Sessanta è stata un motore anche della lotta contro il colonialismo: durante la guerra di Algeria, in Francia la memoria della Shoah ha motivato la lotta contro la tortura e stimolato il sostegno a un movimento di liberazione nazionale.
Da vent’anni a questa parte questa memoria è stata “istituzionalizzata”, ha cessato di essere una memoria “antagonista” nei confronti del potere, è diventata una memoria istituzionale, oggetto di commemorazioni ufficiali e di politiche educative.
Questo fenomeno è intimamente contraddittorio: da un lato esprime la formazione di una nuova coscienza storica. Se le istituzioni se ne fanno carico significa che questa memoria è entrata nella memoria collettiva dell’Europa, che dunque l’Europa non può più pensare il suo passato senza metterci dentro Auschwitz, cosa che trent’anni fa non avveniva.
La memoria della Shoah è diventata una sorta di religione civile dei diritti umani, della democrazia, ecc. Dall’altro lato questa stessa istituzionalizzazione ha come conseguenza una sorta di assegno in bianco affidato a Israele come Stato che incarna la memoria dell’Olocausto e che va sostenuto in ogni circostanza. Lo si è visto bene nelle scorse settimane quando tutti deprecavano i bombardamenti, ma ogni critica era preceduta dall’affermazione di una solidarietà di principio nei confronti di Israele: i leader europei sono stati a Gerusalemme e non a Ramallah.
L’istituzionalizzazione di questa memoria crea pertanto dei conflitti. Pensiamo a un paese come la Francia, dove la memoria della Shoah è così importante; ebbene, nel febbraio del 2005, un mese dopo queste commemorazioni, l’Assemblea nazionale ha votato una legge che metteva in valore l’ ...[continua]
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