Marina Barham dirige il teatro al-Harah di Beit Jala (Palestina), città in cui vive.

Voi fate teatro nei Territori. Puoi raccontare?
Il nostro gruppo si chiama Teatro al-Harah, al-Harah significa ”Il Quartiere”. E’ quello il luogo dove condividiamo le nostre storie, intratteniamo relazioni, mettiamo su famiglia, in una comunità che è molto coesa. Facciamo spettacoli per bambini, ma anche per giovani e adulti. Per i bambini scegliamo sempre qualcosa che sia internazionale o molto noto, come per esempio "La piccola fiammiferaia” di Christian Andersen, oppure "Mele rosse” di un autore svedese, ma a volte facciamo anche storie tradizionali palestinesi. Cerchiamo di fare rappresentazioni che siano vivaci, piene di musica, allegre, perché vorremmo che i bambini, almeno per un’ora, si godessero storie divertenti. Per gli adulti è differente, avvertiamo la responsabilità di scegliere qualcosa che parli di noi come palestinesi, e in più come gruppo teatrale, in questa fase, scegliamo in base a come vanno le cose, perché sappiamo che i nostri spettacoli non verranno rappresentati solo in Palestina, ma anche nei festival in tutto il mondo arabo, nei festival internazionali, perché facciamo tournée, e con queste opere vogliamo comunicare un messaggio al mondo. È molto raro che scegliamo opere già scritte, il più delle volte facciamo improvvisazione, ricerca, rivisitazioni, e scriviamo noi i testi.
Tuttavia l’ultima opera che abbiamo prodotto è stata la "Metamorfosi” di Kafka. I nostri attori erano stufi di fare improvvisazione e lavori sulla Palestina, volevano fare qualcosa di completamente diverso… almeno così pensavano! Quando abbiamo iniziato le prove, sin dal primo giorno ci siamo resi conto che la "Metamorfosi” parlava in realtà proprio della Palestina… Gregor che un mattino, svegliandosi, si accorge di non essere più umano e prova ad adattarsi, nella nuova condizione, alla sua vecchia vita, e prima c’è la lotta tra se stesso e il suo corpo, poi il conflitto per salvare il suo rapporto con la famiglia, la sua stessa umanità in famiglia, e poi alla fine la famiglia che non riesce più a tollerare lo stress di convivere in casa con una simile creatura, per cui lui si ritrova rinchiuso in una stanza, che è una gabbia…
Insomma, alla fine ci veniva da pensare a Gaza, a Shatila. Gregor è completamente circondato, non può uscire, e ogni giorno deve adattarsi a problemi sempre nuovi…
Lo si può interpretare come si vuole. Pensavamo che la gente lo avrebbe trovato un soggetto stravagante, ma dopo lo spettacolo siamo rimasti davvero sorpresi che molti giovani andassero da Nicola, che interpretava Gregor, per dirgli che si erano ritrovati nel suo personaggio, in lui. Sì, credo si tratti di una storia davvero potentissima.
Voi comunque non potete andare a Gaza...
No, è estremamente complicato, quasi impossibile. La maggior parte dei nostri colleghi di Gaza noi li incontriamo in Europa, o in Giordania, in Egitto, non a Gaza, né in Cisgiordania. Di recente ha fatto scalpore il caso di una studentessa, una giovane che studia all’università di Betlemme e deve laurearsi fra due mesi. Ma ha un documento di Gaza, ora è a Gaza e non può più recarsi all’università.
Si sono mossi molti professori, perfino il rettore, per esercitare pressioni sugli israeliani per consentirle di tornare all’università e completare gli studi, ma finora non è accaduto nulla. Con Gaza siamo completamente disconnessi. Poi Gaza è un luogo molto problematico, pieno di conflitti intestini. Ma è altrettanto importante lavorare in Europa, all’estero, perché in Europa la gente è abituata a ciò che dicono i media, a guardare la televisione, e a farsi molti stereotipi sui palestinesi, e noi vorremmo, tramite il teatro, far capire che anche in Palestina siamo gente normale, abbiamo il teatro, siamo in grado di recitare, coltiviamo le arti...
Affrontate anche i problemi che esistono all’interno della comunità palestinese? Perché quando ci sono queste situazioni…
In quanto compagnia teatrale agiamo in modo differente da altri, qui in Palestina, perché ci concepiamo come parte della comunità, avvertiamo i bisogni della comunità e proviamo a rappresentarli in modo teatrale. Ad esempio ora stiamo lavorando con organizzazioni della società civile sui temi dei diritti dell’infanzia, e così stiamo mettendo in scena spettacoli sulla violenza domestica contro i bambini, contro le donne, contro le famiglie.
Facciamo spettacoli per i diritti delle per ...[continua]

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