Il porto di Port-au-Prince è il principale accesso commerciale all’intera nazione di Haiti. Nel terremoto del 12 gennaio scorso è stato gravemente danneggiato. Qual è lo stato del porto oggi, passati nove mesi dal giorno del terremoto?
In un certo senso, si può dire che stiamo funzionando a pieni giri. Con questo voglio dire che la merce ora arriva. Va anche detto, però, che la struttura disponibile oggi, dopo il terremoto, non è più quella di una volta. Se prima potevamo far attraccare contemporaneamente sette navi, sui due grandi moli che avevamo, ora ne possiamo ospitare solo quattro. Dopo il terremoto, abbiamo preso in affitto due chiatte e ne stiamo per noleggiare una terza. Le chiatte, ancorate tra i due moli danneggiati nel terremoto, ci aiutano a aumentare la capacità del porto.
Molte organizzazioni non governative internazionali si sono lamentate del fatto che gli aiuti umanitari inviati dall’estero rimangono bloccati troppo a lungo al porto per questione di permessi e di dogana.
Innanzitutto va detto che il porto e la dogana sono due entità completamente differenti. Il porto si occupa di caricare e scaricare i container. La dogana si occupa di tassare le merci che entrano nel paese.
Il problema dei ritardi nella distribuzione è molto complesso. Le responsabilità non sono solo della dogana, ma anche della mancanza di infrastrutture e della disorganizzazione degli importatori. Ci è capitato di avere a che fare con piccole organizzazioni internazionali che importavano, per esempio, dieci autovetture, ma non avevano lo spazio dove metterle e, di conseguenza, non avevano nessuna fretta di venire al porto a prenderle. Allo stesso tempo, c’era gente che importava molta merce e aveva anche fretta di ritirarla, ma in alcuni terminal del porto non esiste l’equipaggiamento sufficiente a velocizzare il processo di scarico, smistamento e consegna.
Per facilitare la distribuzione di aiuti umanitari nel dopo-terremoto, il governo, con una moratoria di tre mesi, ha deciso di aprire la dogana a tutti quelli che contribuissero a risolvere l’emergenza. Di conseguenza, anche una Ong non registrata con il governo, cosa altrimenti obbligatoria per lavorare nel paese, poteva appoggiarsi alla Protezione Civile, la quale avrebbe assistito la Ong in questione nello sdoganamento delle merci e nella loro distribuzione. Invece, per una Ong già registrata, questo non è necessario. I responsabili dell’organizzazione devono andare al Ministero della Pianificazione, il quale poi invia una richiesta al Ministero delle Finanze che autorizza lo sdoganamento. Questo significa che, normalmente, ci vuole parecchio tempo perché bisogna avere tutti i documenti in ordine.
Il governo ha, recentemente, cercato di facilitare le cose creando uno sportello unico. Nello stesso luogo, gli importatori potranno incontrare rappresentanti dei ministeri della pianificazione, della finanza, e della dogana. Se manca un documento, questo sportello unico dovrebbe essere in grado di aiutare. Io non l’ho provato. Ne ho solo sentito parlare.
Quali sono i programmi di lungo-termine per il porto?
Vogliamo senz’altro sostituire le chiatte. Già prima del terremoto, avevamo in programma di riabilitare i moli. Ora ci tocca di ricostruirli. Gli studi di fattibilità che erano in corso sono stati ridirietti verso questa nuova situazione. Il progetto prevede un’estensione dei moli, che dovrebbero diventare più moderni di quanto fossero in passato. Dobbiamo ora completare lo studio di impatto ambientale.
Fin qui, questo progetto è stato finanziato dalla International Development Bank (Idb).
Nel frattempo, però, si è costituita la Interim Haiti Recovery Commission, di cui fanno parte l’ex presidente americano Bill Clinton e il Primo Ministro di Haiti Jean-Max Bellerive.
Anche loro hanno un loro piano di intervento. Piano che per altro non riguarda solo Port-au-Prince, ma anche altre aree del paese, e include la possibilità di costruire un grande porto a nord di Haiti. Di conseguenza, ora dobbiamo ...[continua]
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