Mi trovavo sopra quel divano e all’improvviso ho visto quella cella, ho visto proprio come era situata. Perciò telefonai a Salvatore, l’educatore del carcere di Pisa, per dirgli che volevo vedere la stanza della mia figliola. Era come se là dentro io avessi lasciato qualcosa, che dovevo riprendere. L’educatore mi disse che avrebbe fatto la domanda al direttore, che poi avrebbe dovuto inoltrarla al giudice di sorveglianza e poi, credo, a Roma. Questo a giugno. Nel mese di settembre è arrivata la comunicazione che potevo andare. Ho organizzato tutto per il 6 di ottobre. Si può immaginare cosa può essere stato per me tornare là, sapendo che non era per un colloquio, ma per vedere dove è deceduta la propria figliola... Poi che posti squallidi... Fui accompagnata dal vice direttore, loro avevano organizzato anche una messa e non mi aspettavo di trovare, dopo l’apertura dell’ultimo cancello, tutti quei ragazzi detenuti ad aspettarmi. Fu lì che mi sentii male, non me l’aspettavo. Sapevo che loro sarebbero stati presenti alla messa, però non che fossero tutti lì ad aspettarmi per salutarmi, per me fu un fatto tremendo. Quando mi ripresi un po’, i due sacerdoti hanno detto la messa, anche i miei figlioli hanno preso la comunione, c’erano le guardie, e finita la messa tutte queste figliole mi hanno fatto le condoglianze. Scortata dalla guardie venne persino una ragazza che era in isolamento e che, poi, appena finita la messa, fu riportata via. Io non l’ho vista, però mi è stato detto. Loro lo sapevano, era tutto preparato.
Poi, siccome la cella della mia figliola era al piano di sopra, l’educatore con la guardia mi chiesero se me la sentivo, ero in condizioni proprio... Mi dissi che "ce la dovevo fare", e così salii le scale, e ci si avvicinò dov’era la mia figliola.
Ho visto la cella proprio come l’avevo vista nella mia mente. E’ come se lì dentro avessi visto la mia figliola a letto, davanti al letto il tavolo, tutto come me l’ero immaginato. Però fu un attimo che io lì dentro non vidi più nulla, avevo visto con la mia mente tutto e in un attimo non ho visto più nulla. Infatti dissi all’educatore e alla guardia: "Devo andare via, tanto qui dentro non c’è più nulla". Me ne andai tranquilla come se mi portassi via quello che avevo lasciato. Sarà la mia immaginazione, però per me è stato così. Dentro di me sento che lì non c’è più nulla di mio.
Lei sentiva le voci, queste voci che sempre le suggerivano di farsi del male: "Cosa ci stai a fare al mondo? Non sei buona a nulla. Non vedi che nessuno ti vuole più bene?", e il sabato, quando io andai, mi disse: "Mamma, portami via di qui, perché sennò io esco dentro una bara". Mi disse proprio queste parole. Ma io non sapevo, capivo qualcosa perché vedevo che lei andava avanti a forza di farmaci per via di queste voci che sentiva. Io tante volte ho supplicato la Usl e tutti di cercare di tirarla fuori, chiedevo di darmi una mano, e nel frattempo cercare una struttura adatta per lei, perché non poteva stare in quelle condizioni nervose. Ma nessuno mi dava ascolto e io da sola potevo lottare, però fino a un certo punto, perché quando c’è la legge di mezzo sono gli altri che devono fare le prime mosse, gli assistenti sociali e tutto il resto.
I rimorsi li devono avere gli altri, che non hanno fatto nulla per lei. Nessuno mai si degnò di darmi una mano. Anche quando andavo a battere il capo di qua e di là, alla Usl e altrove, mi allungavano i tempi, "ora si guarda, ora si guarda", e invece la mia figliola aveva bisogno di uscire di lì con quel problema che aveva; non poteva stare in una cella, doveva uscire di là. Per queste persone ci vogliono le strutture adatte, non la cella, ma questo non l’ha capito ancora nessuno. Perché? Perché tocca sempre ai figli degli altri. Se fosse toccato a qualcuno sulla propria pelle avrebbero capito cosa vuol dire. E non c’è solo la mia figliola con questo problema, ce n’è tanti. Danno loro i farmaci: "state buoni", e basta. Capito, in che mondo si vive?
Io vedo tutti i suoi fogli, le sue lettere. Certe volte mi ha scritto: "Mamma, ti sarò vicina nel bene e nel male". In tante lettere c’è scritto: "Io preferisco la morte, però non foglio fare una pazzia perché non voglio dare un dispiacere alla mia mamma". Se lei lo ha fatto è stato perché era un momento in cui col capo non c’era. E invece una mano non me la d ...[continua]
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