Come hai iniziato a lavorare da medico in Zimbabwe?
Nel modo più comune, facendo parte di progetti di organizzazioni non governative. Sono stato in Etiopia, in Uganda, per periodi più brevi in Nigeria, e poi tramite il Cosv, una Ong di Milano, sono arrivato nel 2003 in Zimbabwe. Ero il consulente di un progetto che si occupava di attivare gli ambulatori per la prevenzione della trasmissione materno-infantile dell’infezione da Hiv.
Il progetto, che si svolgeva in una delle province più grandi dello Zimbabwe, il Mashonaland East, ha avviato 18 centri per effettuare il counseling e il test dell’infezione da Hiv. Il mio ruolo è stato di tecnichal advisor; essendo infettivologo, ho dato il mio contributo per avviare queste iniziative. Il progetto era coordinato e organizzato da Arturo Montineri e Tiziana Lazzaro, due operatori della Lila di Catania. Durante questo periodo ho conosciuto la dottoressa Maria Elena Pesaresi di Rimini, che dal 1983 dirigeva un ospedale nel distretto di Mutoko, il Luisa Guidotti Hospital, dal nome della dottoressa italiana uccisa nel 1979 dall’esercito rhodesiano. Era nato nel 1932 come ospedale missionario italiano e cattolico, adesso è diventato un ospedale governativo. L’attuale superintendente è il dottor Massimo Migani di Rimini.
Allora mi venne l’idea di stipulare un accordo fra l’ospedale e l’Università di Catania; avrei portato in Zimbabwe gli specializzandi di malattie infettive per fare un tirocinio di Medicina Tropicale in Africa. L’accordo è stato siglato nel 2004 e da allora ogni anno sono andato a lavorare in questo ospedale portandomi gli specializzandi del quarto anno della scuola che ne facevano richiesta; chi veniva lì poi avrebbe svolto la tesi di specializzazione su argomenti di medicina tropicale. All’inizio pensavo di fare solamente l’infettivologo, e invece mi sono trovato a fare il medico di medicina generale. In quegli anni in ospedale lavorava solamente la dottoressa Pesaresi: un unico medico per un ospedale di 160 posti letto.
Quindi si è creato un rapporto stretto con quello che fai in Italia. Sei stato tra i fondatori della Lila di Catania...
Si, sono fra i soci fondatori della Lila di Catania; lì abbiamo realizzato un progetto funzionale a questo accordo con l’Università, il progetto "Susy Costanzo” (socia e volontaria della Lila di Catania morta prematuramente) che consiste nella raccolta di fondi a sostegno dei progetti in Zimbabwe.
Il governo dello Zimbabwe, pur avendo nazionalizzato tutti gli ospedali missionari, consente loro di ricevere donazioni dall’estero, per cui questi ospedali hanno più mezzi degli ospedali pubblici; gli ospedali cattolici, inoltre, sono gestiti insieme alla diocesi di appartenenza, per cui la diocesi locale, se ha fondi, può assumere personale medico autonomamente.
Il "Progetto Susy Costanzo - Diamo vite all’Africa” (progettosusycostanzo.it) all’inizio ha raccolto fondi per comprare i farmaci per la cura dell’infezione da Hiv.
In quel periodo, parlo del 2004, in Zimbabwe la prevalenza dell’infezione dell’Hiv era fra il 23 e il 27%, e la mortalità da Aids era talmente alta che l’aspettativa di vita media nel paese era intorno ai 37 anni. Nel 2003 l’ospedale ha iniziato il primo programma di terapia dell’infezione dell’Hiv; in quel periodo le donazioni delle grandi organizzazioni benefiche internazionali, quali il Global Fund, la Clinton Foundation, la Bush Foundation, non erano ancora disponibili, sono arrivati in seguito.
Essendo il primo programma, nel nostro ospedale arrivavano pazienti da tutto il paese.
Al momento l’ospedale riceve donazioni da tante associazioni. Il donatore principale è la Diocesi di Rimini, che ogni anno tramite la Fondazione Pesaresi invia tra i centomila e i duecentomila euro.
All’inizio l’ospedale ha avuto in trattamento fino a seimila persone. Immaginate seimila persone senza un medico dedicato ma con la sola dottoressa Pesaresi che si doveva occupare di tutto!
Dal 2004, grazie all’accordo stipulato con la facoltà, mi sono recato in Zimbabwe dai due agli otto mesi l’anno. Con me sono venuti sia specializzandi che volontari della Lila.
Adesso la situazione è cambiata ...[continua]
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