Perché ti sei seduta qui?
internazionalismo

Una Città n° 310 / 2025 maggio-giugno
Intervista a Faezeh Afshan
Realizzata da Barbara Bertoncin
PERCHE' TI SEI SEDUTA QUI?
Essere arrestate a dieci anni perché si va in bici, si nuota in piscina o si gioca a pallacanestro in cortile, e poi il velo, i matrimoni precoci, i diritti negati; la gratitudine per una famiglia, da sempre dissidente, che fa studiare i figli, ma soprattutto le figlie, per farle andare via; un impegno, quello per difendere i diritti delle donne iraniane, tenacemente portato avanti, anche a costo di non poter tornare nel proprio paese. Intervista a Faezeh Afshan.
Faezeh Afshan, iraniana, vive e lavora in Italia. È impegnata nella lotta per i diritti delle donne e dei democratici iraniani. L’incontro, dal titolo “Apartheid femminile in Iran”, è stato registrato lo scorso 25 marzo presso il Circolo Arci “Gianni Dalmonte” di Castel Bolognese nell’ambito di “Sorelle Festival”. L’iniziativa è stata organizzata in collaborazione con l’associazione Women of Mediterranean East and South European Network e con il patrocinio del Comune di Castel Bolognese.
Puoi spiegarci cosa significa “apartheid femminile” nel caso dell’Iran?
Quando parliamo della condizione delle donne iraniane, non ci riferiamo solo alle questioni più note e ovvie, come l’obbligo di indossare il velo o l’impossibilità di partecipare alla vita pubblica. Parliamo di una discriminazione radicata in ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalla nascita alla morte. Il caso più evidente di discriminazione riguarda il velo obbligatorio. Dal 1979, alle donne iraniane viene imposto di coprirsi i capelli in pubblico. Chi non rispetta queste regole può essere arrestata, multata o imprigionata. Inoltre, la polizia morale esercita un controllo costante sul modo in cui le donne si vestono e si comportano in pubblico.
La loro idea è che se possono mettere qualcosa sulla tua testa, possono anche entrare nella tua testa: se non puoi decidere come devi vestirti, cosa mettere sul tuo corpo, ti sarà inibita anche la scelta per decidere su altre cose. Voi quando uscite non dovete pensare che se non vi coprite i capelli, c’è una polizia che vi arresta e tra le conseguenze potrebbe esserci anche la morte, come è successo a Mahsa Amini, e non solo a lei purtroppo.
Ma, ripeto, l’obbligo del velo è solo una delle tante discriminazioni. Per esempio, le donne sono sistematicamente escluse da molti eventi sportivi, non possono assistere a partite di calcio. Nella mia vita io non sono mai andata allo stadio. Oppure ci sono sport vietati alle donne. Le piscine sono separate e quelle per le donne devono essere al chiuso. In estate, se andiamo al mare, ci sono questi posti dove anche la profondità dell’acqua è controllata, non tanto per il rischio di annegare, ma perché se vai più avanti, un uomo potrebbe vederti.
Ma forse la cosa più grave riguarda i matrimoni forzati e precoci: in Iran, l’età minima legale per il matrimonio è di soli 13 anni per le ragazze, e anche prima in presenza del consenso paterno e giudiziario. Molte bambine vengono quindi costrette a sposarsi quando sono ancora minorenni, spesso con uomini molto più grandi.
Questo porta a una condizione di sottomissione e privazione per molte giovani, che non hanno l’opportunità di completare la loro istruzione o scegliere il proprio destino.
Poi c’è il divorzio. Il diritto al divorzio è gravemente sbilanciato a favore degli uomini. Un uomo può divorziare da sua moglie in qualsiasi momento e con facilità. Le donne, invece, devono affrontare lunghi processi legali e sono pochissime le motivazioni accettabili per chiederlo. Inoltre, in caso di divorzio, la custodia dei figli viene automaticamente assegnata al padre o alla sua famiglia. Il marito poi può decidere se la moglie potrà studiare o lavorare, addirittura se può uscire di casa, anche solo per andare a trovare i suoi genitori, e tutto questo è legale.
C’è anche il tema della violenza...
La violenza contro le donne, in particolare quella domestica, è un problema enorme in Iran. Tuttavia, le leggi iraniane offrono pochissima protezione alle vittime. Molte donne che subiscono abusi non possono facilmente separarsi o cercare giustizia. La polizia spesso ignora le loro denunce, e la società tende a colpevolizzarle. Lo stupro all’interno del matrimonio non è considerato un crimine. Le donne non hanno il diritto di rifiutare il sesso con il marito. Anche nei casi di stupro fuori dal matrimonio, le vittime devono affrontare processi legali umilianti e hanno poche probabilità di ottenere giustizia. Spesso, devono presentare più testimoni per provare la loro innocenza. Addirittura può capitare che sia tu a finire in prigione perché vieni accusata di aver “provocato” l’uomo.
Quella iraniana è una società piena di contraddizioni. Sappiamo che le donne studiano, che almeno nelle città ci sono anche molte opportunità culturali, che le persone conducono una sorta di doppia vita, per cui nel pubblico si seguono le regole, ma nel privato le donne stanno senza velo, a tavola si beve vino...
È proprio così. Anche mio padre faceva il vino e la birra in garage; se il governo l’avesse scoperto avrebbe rischiato la vita. Il fatto è che, al fondo, noi siamo una società allegra, ci piace festeggiare; siamo un popolo a cui basta uno schiocco di dita per iniziare a ballare. Per questo ci siamo inventati questa vita doppia, per cui a casa siamo in un modo e fuori in un altro. Forse avete visto i video con queste donne che scendono in strada senza velo. Ecco, dovete capire che loro, così facendo, rischiano la vita. Oggi c’è questa generazione molto sveglia che vuole rompere questi limiti senza senso e che vuole riappropriarsi della propria vita.
In Iran la percentuale delle donne che studiano è più alta di quella degli uomini, ma perché studiare è l’unica strada per fuggire. Io ho cinque lauree. La mia è stata la famiglia migliore che potessi avere, eppure mio padre, dal giorno in cui siamo nate, non ha fatto che ripetere a me e alle mie sorelle che dovevamo andarcene, scappare da questo regime. Quindi noi ragazze studiamo tanto. Considera poi che noi non possiamo frequentare bar o discoteche, non abbiamo molte distrazioni. A scuola siamo divisi. All’università siamo misti, ma fino a un certo punto. Ricordo ancora il mio primo giorno dell’università: avevo 17 anni. Come dicevo, sono vissuta in una famiglia abbastanza aperta, quindi avevo sempre degli amici. Insomma, il primo giorno, mi sono seduta in prima fila proprio davanti al professore -sono una secchiona!- e accanto a me c’era questo ragazzo che non conoscevo. Subito mi hanno chiesto: “Perché ti sei seduta qui?” e mi hanno fatto spostare. Quindi si dice che i corsi sono misti, ma poi i maschi si devono sedere da una parte e le femmine dall’altra.
Alle manifestazioni di “Donna vita libertà” c’erano anche uomini…
Fortunatamente esiste questa nuova generazione di uomini che hanno capito che avere pari diritti è una cosa buona per tutti.
Il fatto che la donna debba stare in casa e che solo l’uomo debba lavorare e guadagnare, che l’uomo non debba mai piangere… insomma questo sessismo fa male anche a loro. Ovviamente ci sono anche tanti uomini che invece approfittano di questo regime per avere le donne a loro disposizione: una moglie che cucina, pulisce, che non ha neanche il diritto di uscire di casa senza il permesso del marito, beh, a molti va bene.
La tua famiglia ti ha sempre sostenuta in questa tua lotta. Puoi parlarcene?
Io ho perso mio padre quasi tre anni fa. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia “buona”, dove tutto veniva diviso equamente. Ma il diritto iraniano sancisce una plateale discriminazione delle donne nelle questioni di eredità: ricevono metà della quota che spetterebbe a un uomo, anche quando si tratta di ereditare dal padre o dal marito.
Nel lavoro, le donne sono pagate molto meno degli uomini; la loro presenza nel mercato del lavoro è fortemente ostacolata. Anche quando sono altamente qualificate, le donne vengono spesso escluse dai ruoli di leadership. Possono essere licenziate se rimangono incinte o se le loro scelte personali non corrispondono alle aspettative di genere imposte dal regime.
Per esempio, il lavoro che faccio oggi in Italia in Iran sarebbe proibito. Nel mio paese le donne al massimo possono fare le segretarie o comunque lavori amministrativi, le infermiere. Se per caso fai carriera ne subisci le conseguenze perché nell’immaginario sei nel posto sbagliato. Fin dagli studi, sebbene le donne iraniane abbiano accesso all’istruzione superiore, ci sono restrizioni significative riguardo a quali materie possono studiare e quali ruoli possono svolgere nella società. Alcuni corsi di laurea e specializzazioni sono praticamente inaccessibili per le donne. Inoltre, molte di loro si trovano ad affrontare una cultura accademica fortemente sessista.
Io amo il mio paese. Purtroppo non ci posso tornare fino a che è nelle mani di questo governo.
Ho portato con me molti ricordi, non sempre positivi. Per esempio, non posso più nuotare. Quando ero piccola andavo sempre in piscina con il mio babbo. Pensavano fossi un ragazzo perché tenevo sempre i capelli corti. Ecco, non posso dimenticare il giorno che hanno capito che ero una ragazza e il trattamento che hanno riservato a mio padre. Da allora non sono mai più entrata in piscina: appena entro nell’acqua mi arrivano addosso tutti quei brutti ricordi. Per lo stesso motivo ho paura di andare in bicicletta. In Iran è vietato alle donne; mi hanno arrestato almeno cinque o sei volte perché mi hanno visto pedalare.
Da piccola il mio babbo aveva messo un canestro nella nostra via. Quindi pensavo non solo di avere il diritto di giocare, ma addirittura di essere più titolata degli altri visto che ero sua figlia! Un giorno, avevo credo dieci anni e stavo giocando con i miei amici, si è presentata la cosiddetta polizia morale (che non ha proprio niente di morale!) e mi ha portato via, senza neanche avvertire i miei; mi hanno preso, mi hanno spinto nella macchina e poi mi hanno fatto anche le foto, come se fossi una criminale! Avevo dieci anni, non capivo cosa stesse succedendo, cos’avessi fatto di male…
Racconto tutto questo per dare un’idea di tutti i diritti che hanno rubato a me e a tantissime altre persone. Mi provoca dolore raccontare queste cose, lo faccio per far capire alle altre persone cosa sta succedendo affinché chi può faccia qualcosa, anche solo per diffondere la conoscenza o sensibilizzare chi nelle istituzioni ha il potere di agire. Bisogna isolare l’Iran, metterlo di fronte alla realtà.
Hai detto che non sei più tornata a casa. Che prezzo paga chi si oppone a tutto questo?
Io sono fortunata. Stare lontana dalla mia famiglia è pesante, ma in confronto al prezzo pagato da chi in questa lotta ha perso la vita…
Da tre anni non vedo mia madre. Mio padre è morto senza che potessi salutarlo. Eravamo molto legati. Purtroppo anche la mia famiglia sta subendo le conseguenze di questa lotta: hanno bloccato la pensione e l’assicurazione della mia mamma; mio fratello, un ingegnere meccanico, era impiegato nel settore petrolifero e ha perso il lavoro. Ma ripeto, noi non ci lamentiamo. Molti hanno perso un arto, un braccio o una gamba, chi la vista; sono morti anche dei bambini.
Mia mamma ha fatto l’infermiera per tutta la vita e non si è mai tirata indietro quando si trattava di aiutare le persone. Recentemente ha dovuto sottoporsi a un intervento e, non potendo beneficiare dell’assicurazione, per coprire le spese ha dovuto vendere la sua auto.
La mia è una famiglia che non si è mai tirata indietro dalle proteste. Sono stati loro a insegnarmi a lottare per quello che era giusto. Il governo paga delle spie che operano all’estero; esiste una sorta di lista nera e quando hanno revocato la pensione a mia madre abbiamo capito che c’ero finita pure io, anche se non sono certo un personaggio famoso. È per questo che non posso tornare dai miei. Mi arresterebbero già all’aeroporto. Cerchiamo comunque di stare in contatto: parlo con la mia mamma un paio di volte al mese -se internet va, facciamo delle videochiamate. Con gli amici ci sentiamo più di rado. C’è anche la paura di metterli in pericolo. I miei mi sostengono incondizionatamente, dicendomi spesso che sono pronti a farsi carico, con convinzione, delle conseguenze della mia scelta. Con gli altri ci sentiamo ogni tanto e comunque io chiedo sempre di cancellare tutti i messaggi, perché potrebbero finire in prigione solo per aver comunicato con me.
Nel 2022, dopo la morte di Mahsa Amini e le conseguenti proteste, era tornata forse la speranza di un cambio di regime.
La brutalità non era certo cominciata nel 2022. Due anni prima il governo aveva ucciso 1.500 persone in soli tre giorni nel corso delle proteste contro l’aumento del prezzo del petrolio.
La morte di Mahsa Amini ha portato in superficie tante ingiustizie. Perché nessuno deve vivere così. Sono anni che le donne lottano per i loro diritti, al prezzo dell’incarcerazione, della tortura e anche della morte. Sono quarant’anni che questo regime ogni giorno uccide dei dissidenti, mentre il mondo chiude gli occhi perché l’Iran è un paese molto ricco e gli altri paesi hanno bisogno delle sue materie prime.
Tre anni fa, per la prima volta, il mondo è sembrato reagire all’uccisione di questa e altre giovani che semplicemente si erano permesse di far vedere i capelli.
Il regime tenta di dare l’illusione che le donne iraniane abbiano raggiunto una certa emancipazione, mostrando casi isolati di donne in posizioni di rilievo. Tuttavia, questi casi rappresentano una piccolissima parte della realtà. La maggior parte delle donne iraniane continua a essere vittima di un sistema legale e culturale profondamente patriarcale. Oggi le donne iraniane non possono lasciare il paese senza il permesso scritto del loro marito o del padre. Anche nelle piccole cose quotidiane, come viaggiare all’interno dell’Iran, le donne devono ottenere l’approvazione di un parente maschio. Non possono nemmeno registrarsi in un hotel senza avere la prova legale di conferma del padre o del marito. Per dire, il mio passaporto, per essere valido, doveva avere la firma del mio babbo; se fossi stata sposata, sarebbe servita l’approvazione di mio marito. Anche per viaggi brevi, se volevo spostarmi, dovevo andare alla polizia e compilare un modulo che poi mio padre doveva firmare.
Dopo le manifestazioni del 2022 si è aperta qualche crepa nel regime?
Non su questo governo, però sulle persone sì. Chi ha studiato meccanica sa che esiste un punto massimo di tensione, oltre il quale c’è la rottura. Secondo me il popolo iraniano è arrivato a questo punto. A lungo la gente ha temuto per la propria vita. Ma sempre più persone hanno cominciato a interrogarsi sul senso di questa esistenza, a pensare: è vero, se protesto, se dissento, rischio la vita, ma è vita questa? Credo sia anche per questo che tante persone si sono esposte. E voi non sapete cosa succede quando la polizia morale ti arresta, come ti trattano, gli stupri... Eppure ogni giorno tante donne decidono di uscire di casa senza il velo. Ecco, secondo me negli ultimi due, tre anni nel popolo è successo qualcosa; sempre più persone pensano: adesso basta, voglio vivere la mia vita, anche al costo di perderla...
Il video in cui ti tagliavi i capelli è diventato virale. Perché l’hai fatto?
Nella nostra cultura, le donne si tagliano i capelli in due occasioni: quando ci si prepara per la guerra o quando si è in lutto. In quei giorni per me cominciava sia la guerra che il lutto. All’epoca avevo i capelli lunghi e molto ricci.
L’unica persona che mi tagliava i capelli era mio padre, perché ho sempre avuto veramente una chioma da leone, difficile da districare. Era un momento molto difficile per me. Era la prima volta che me li tagliavo da sola. Compiere quell’atto per me equivaleva davvero a prepararmi a una guerra, alla lotta contro questo regime e allo stesso tempo c’era il dolore per la perdita di tutte queste persone. Insomma, dovevo e volevo fare qualcosa. Non potevo togliermi il velo perché già non lo portavo e però sentivo il bisogno di compiere un atto dimostrativo per denunciare quello che stava succedendo. E così mi sono tagliata i capelli e mi sono filmata mentre lo facevo.
Cos’è che tiene in piedi questo regime? Da dove arriva il consenso?
Il regime lavora molto sulla formazione, sulle scuole, per indottrinare le persone fin da bambini. E poi c’è la questione economica. Se la gran parte delle tue energie è investita nel cercare di arrivare a fine mese, nel sopravvivere, la lotta per i tuoi diritti passa in secondo piano. Molti giovani sono attratti e motivati dai soldi, perché vengono pagati molto bene; tanti vengono da famiglie molto povere.
Considera poi che la maggior parte degli iraniani conosce solo questa vita, non ha viaggiato, non ha visto il resto del mondo, è intrappolata lì e cerca di sopravvivere. In molte donne vige anche una mentalità per cui il fatto di non dover lavorare, di dipendere dal marito, di essere destinata a diventare una madre e di occuparsi solo dei figli e del marito viene apprezzato, ma perché non sono venute a contatto con altre opzioni. Ho conosciuto due ragazze che erano all’università con me; hanno iniziato a frequentare due fratelli gemelli, si sono sposate e sono andate negli Stati Uniti; da noi, oltre al velo, si porta anche quell’abito lungo che si chiama chador, che ti copre tutto il corpo; ecco, loro vestivano così. Nei primi tempi negli Stati Uniti giravano coperte, le seguivo su Instagram quindi ho visto l’evoluzione. Dopo un po’ hanno tolto l’abito lungo, poi anche il velo ha lasciato fuoriuscire dei capelli... Ovviamente non posso parlare per tutti, ma quando scopri che esiste un’altra vita possibile…
Da noi anche i social media sono sottoposti a censura. Twitter, Facebook, Instagram, ecc., sono filtrati, quindi devi usare una vpn. In certi periodi viene interrotta l’intera rete, per cui non va neanche Google. Nella tv nazionale a volte trasmettono notizie totalmente false, parlando di inondazioni o distruzioni negli Stati Uniti o di altre catastrofi. Ora, se tu hai accesso ad altre fonti, puoi verificare le notizie, ma la maggior parte delle persone non hanno questa opportunità e quindi credono a quello che viene loro raccontato.
Dell’ultimo presidente si era detto fosse un “moderato”…
No, non è un moderato. A comandare è Khamenei e il candidato alla presidenza deve comunque passare il suo vaglio per partecipare alla competizione. Nel 2009, proprio in occasione delle elezioni presidenziali, ci furono una serie di proteste e disordini contro i brogli. In quell’occasione mi ritrovai con una gamba rotta…
Quindi “moderato” è un concetto che non ha senso oggi nel mio paese. Spesso il governo iraniano dichiara di voler promuovere riforme per migliorare i diritti delle donne o di altri soggetti, ma nella pratica non ci sono veri cambiamenti. Queste riforme superficiali vengono usate per placare le critiche internazionali, mentre le strutture oppressive rimangono intatte.
Puoi parlare della tua associazione?
Si chiama Associazione unione attivisti iraniani in Italia ed è nata dal desiderio di creare un punto di riferimento per chi, come me, vive in Italia ma sente forte il legame con le lotte civili e i diritti umani in
Iran. È stata creata all’epoca in cui studiavo a Bologna; in quel periodo organizzavamo delle manifestazioni, ma partecipavano poche persone. Dopo l’uccisione di Mahsa Amini, il numero delle persone è aumentato. Abbiamo fatto qualche incontro anche con il vostro governo, ma non siamo riusciti a ottenere nulla. Altri membri dell’associazione vanno nelle scuole. In generale cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica, organizzare eventi, incontri e momenti di confronto, per non lasciare che il silenzio copra ciò che sta succedendo. Cerchiamo anche di aiutare i manifestanti feriti e i rifugiati politici, offrendo loro asilo e cure mediche, ma è un’impresa molto difficile e purtroppo la lista è lunga. Parliamo di persone che in Iran non possono andare all'ospedale, perché rischiano di essere arrestate.
Cosa possiamo fare noi?
Ci tengo a dire che, nonostante l’oppressione, le donne iraniane non sono mai state zitte.
Le donne iraniane non sono solo vittime, ma anche guerriere e la loro battaglia è la stessa di tutte le donne del mondo, per un futuro più equo e giusto. Sono state protagoniste di numerosi movimenti di protesta, come quello contro l’obbligo del velo, il “Movimento delle donne in bianco” e altre campagne per i diritti civili.
Queste donne rischiano l’arresto, la tortura e persino la morte, ma continuano a lottare per la loro libertà e a sfidare apertamente il regime, rifiutando di conformarsi ai rigidi codici di abbigliamento o protestando contro le leggi oppressive.
Molte di loro sono oggi in carcere. Uno dei principali responsabili di questa violenza è il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, che gioca un ruolo diretto negli arresti, negli interrogatori e nelle esecuzioni, mantenendo il potere del regime attraverso la paura. Nonostante le sanzioni internazionali, la loro repressione continua. Per questo è importante chiedere azioni più incisive. È altrettanto importante monitorare la situazione dei prigionieri politici e delle loro famiglie, facendo pressioni internazionali per la loro liberazione.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far sentire queste richieste. I governi agiscono quando le persone li spingono a farlo. Insieme, possiamo inviare un messaggio chiaro: le violazioni dei diritti umani non saranno ignorate e il popolo iraniano non è solo in questa sua lotta per la giustizia.
(a cura di Barbara Bertoncin)
Puoi spiegarci cosa significa “apartheid femminile” nel caso dell’Iran?
Quando parliamo della condizione delle donne iraniane, non ci riferiamo solo alle questioni più note e ovvie, come l’obbligo di indossare il velo o l’impossibilità di partecipare alla vita pubblica. Parliamo di una discriminazione radicata in ogni aspetto della loro vita quotidiana, dalla nascita alla morte. Il caso più evidente di discriminazione riguarda il velo obbligatorio. Dal 1979, alle donne iraniane viene imposto di coprirsi i capelli in pubblico. Chi non rispetta queste regole può essere arrestata, multata o imprigionata. Inoltre, la polizia morale esercita un controllo costante sul modo in cui le donne si vestono e si comportano in pubblico.
La loro idea è che se possono mettere qualcosa sulla tua testa, possono anche entrare nella tua testa: se non puoi decidere come devi vestirti, cosa mettere sul tuo corpo, ti sarà inibita anche la scelta per decidere su altre cose. Voi quando uscite non dovete pensare che se non vi coprite i capelli, c’è una polizia che vi arresta e tra le conseguenze potrebbe esserci anche la morte, come è successo a Mahsa Amini, e non solo a lei purtroppo.
Ma, ripeto, l’obbligo del velo è solo una delle tante discriminazioni. Per esempio, le donne sono sistematicamente escluse da molti eventi sportivi, non possono assistere a partite di calcio. Nella mia vita io non sono mai andata allo stadio. Oppure ci sono sport vietati alle donne. Le piscine sono separate e quelle per le donne devono essere al chiuso. In estate, se andiamo al mare, ci sono questi posti dove anche la profondità dell’acqua è controllata, non tanto per il rischio di annegare, ma perché se vai più avanti, un uomo potrebbe vederti.
Ma forse la cosa più grave riguarda i matrimoni forzati e precoci: in Iran, l’età minima legale per il matrimonio è di soli 13 anni per le ragazze, e anche prima in presenza del consenso paterno e giudiziario. Molte bambine vengono quindi costrette a sposarsi quando sono ancora minorenni, spesso con uomini molto più grandi.
Questo porta a una condizione di sottomissione e privazione per molte giovani, che non hanno l’opportunità di completare la loro istruzione o scegliere il proprio destino.
Poi c’è il divorzio. Il diritto al divorzio è gravemente sbilanciato a favore degli uomini. Un uomo può divorziare da sua moglie in qualsiasi momento e con facilità. Le donne, invece, devono affrontare lunghi processi legali e sono pochissime le motivazioni accettabili per chiederlo. Inoltre, in caso di divorzio, la custodia dei figli viene automaticamente assegnata al padre o alla sua famiglia. Il marito poi può decidere se la moglie potrà studiare o lavorare, addirittura se può uscire di casa, anche solo per andare a trovare i suoi genitori, e tutto questo è legale.
C’è anche il tema della violenza...
La violenza contro le donne, in particolare quella domestica, è un problema enorme in Iran. Tuttavia, le leggi iraniane offrono pochissima protezione alle vittime. Molte donne che subiscono abusi non possono facilmente separarsi o cercare giustizia. La polizia spesso ignora le loro denunce, e la società tende a colpevolizzarle. Lo stupro all’interno del matrimonio non è considerato un crimine. Le donne non hanno il diritto di rifiutare il sesso con il marito. Anche nei casi di stupro fuori dal matrimonio, le vittime devono affrontare processi legali umilianti e hanno poche probabilità di ottenere giustizia. Spesso, devono presentare più testimoni per provare la loro innocenza. Addirittura può capitare che sia tu a finire in prigione perché vieni accusata di aver “provocato” l’uomo.
Quella iraniana è una società piena di contraddizioni. Sappiamo che le donne studiano, che almeno nelle città ci sono anche molte opportunità culturali, che le persone conducono una sorta di doppia vita, per cui nel pubblico si seguono le regole, ma nel privato le donne stanno senza velo, a tavola si beve vino...
È proprio così. Anche mio padre faceva il vino e la birra in garage; se il governo l’avesse scoperto avrebbe rischiato la vita. Il fatto è che, al fondo, noi siamo una società allegra, ci piace festeggiare; siamo un popolo a cui basta uno schiocco di dita per iniziare a ballare. Per questo ci siamo inventati questa vita doppia, per cui a casa siamo in un modo e fuori in un altro. Forse avete visto i video con queste donne che scendono in strada senza velo. Ecco, dovete capire che loro, così facendo, rischiano la vita. Oggi c’è questa generazione molto sveglia che vuole rompere questi limiti senza senso e che vuole riappropriarsi della propria vita.
In Iran la percentuale delle donne che studiano è più alta di quella degli uomini, ma perché studiare è l’unica strada per fuggire. Io ho cinque lauree. La mia è stata la famiglia migliore che potessi avere, eppure mio padre, dal giorno in cui siamo nate, non ha fatto che ripetere a me e alle mie sorelle che dovevamo andarcene, scappare da questo regime. Quindi noi ragazze studiamo tanto. Considera poi che noi non possiamo frequentare bar o discoteche, non abbiamo molte distrazioni. A scuola siamo divisi. All’università siamo misti, ma fino a un certo punto. Ricordo ancora il mio primo giorno dell’università: avevo 17 anni. Come dicevo, sono vissuta in una famiglia abbastanza aperta, quindi avevo sempre degli amici. Insomma, il primo giorno, mi sono seduta in prima fila proprio davanti al professore -sono una secchiona!- e accanto a me c’era questo ragazzo che non conoscevo. Subito mi hanno chiesto: “Perché ti sei seduta qui?” e mi hanno fatto spostare. Quindi si dice che i corsi sono misti, ma poi i maschi si devono sedere da una parte e le femmine dall’altra.
Alle manifestazioni di “Donna vita libertà” c’erano anche uomini…
Fortunatamente esiste questa nuova generazione di uomini che hanno capito che avere pari diritti è una cosa buona per tutti.
Il fatto che la donna debba stare in casa e che solo l’uomo debba lavorare e guadagnare, che l’uomo non debba mai piangere… insomma questo sessismo fa male anche a loro. Ovviamente ci sono anche tanti uomini che invece approfittano di questo regime per avere le donne a loro disposizione: una moglie che cucina, pulisce, che non ha neanche il diritto di uscire di casa senza il permesso del marito, beh, a molti va bene.
La tua famiglia ti ha sempre sostenuta in questa tua lotta. Puoi parlarcene?
Io ho perso mio padre quasi tre anni fa. Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia “buona”, dove tutto veniva diviso equamente. Ma il diritto iraniano sancisce una plateale discriminazione delle donne nelle questioni di eredità: ricevono metà della quota che spetterebbe a un uomo, anche quando si tratta di ereditare dal padre o dal marito.
Nel lavoro, le donne sono pagate molto meno degli uomini; la loro presenza nel mercato del lavoro è fortemente ostacolata. Anche quando sono altamente qualificate, le donne vengono spesso escluse dai ruoli di leadership. Possono essere licenziate se rimangono incinte o se le loro scelte personali non corrispondono alle aspettative di genere imposte dal regime.
Per esempio, il lavoro che faccio oggi in Italia in Iran sarebbe proibito. Nel mio paese le donne al massimo possono fare le segretarie o comunque lavori amministrativi, le infermiere. Se per caso fai carriera ne subisci le conseguenze perché nell’immaginario sei nel posto sbagliato. Fin dagli studi, sebbene le donne iraniane abbiano accesso all’istruzione superiore, ci sono restrizioni significative riguardo a quali materie possono studiare e quali ruoli possono svolgere nella società. Alcuni corsi di laurea e specializzazioni sono praticamente inaccessibili per le donne. Inoltre, molte di loro si trovano ad affrontare una cultura accademica fortemente sessista.
Io amo il mio paese. Purtroppo non ci posso tornare fino a che è nelle mani di questo governo.
Ho portato con me molti ricordi, non sempre positivi. Per esempio, non posso più nuotare. Quando ero piccola andavo sempre in piscina con il mio babbo. Pensavano fossi un ragazzo perché tenevo sempre i capelli corti. Ecco, non posso dimenticare il giorno che hanno capito che ero una ragazza e il trattamento che hanno riservato a mio padre. Da allora non sono mai più entrata in piscina: appena entro nell’acqua mi arrivano addosso tutti quei brutti ricordi. Per lo stesso motivo ho paura di andare in bicicletta. In Iran è vietato alle donne; mi hanno arrestato almeno cinque o sei volte perché mi hanno visto pedalare.
Da piccola il mio babbo aveva messo un canestro nella nostra via. Quindi pensavo non solo di avere il diritto di giocare, ma addirittura di essere più titolata degli altri visto che ero sua figlia! Un giorno, avevo credo dieci anni e stavo giocando con i miei amici, si è presentata la cosiddetta polizia morale (che non ha proprio niente di morale!) e mi ha portato via, senza neanche avvertire i miei; mi hanno preso, mi hanno spinto nella macchina e poi mi hanno fatto anche le foto, come se fossi una criminale! Avevo dieci anni, non capivo cosa stesse succedendo, cos’avessi fatto di male…
Racconto tutto questo per dare un’idea di tutti i diritti che hanno rubato a me e a tantissime altre persone. Mi provoca dolore raccontare queste cose, lo faccio per far capire alle altre persone cosa sta succedendo affinché chi può faccia qualcosa, anche solo per diffondere la conoscenza o sensibilizzare chi nelle istituzioni ha il potere di agire. Bisogna isolare l’Iran, metterlo di fronte alla realtà.
Hai detto che non sei più tornata a casa. Che prezzo paga chi si oppone a tutto questo?
Io sono fortunata. Stare lontana dalla mia famiglia è pesante, ma in confronto al prezzo pagato da chi in questa lotta ha perso la vita…
Da tre anni non vedo mia madre. Mio padre è morto senza che potessi salutarlo. Eravamo molto legati. Purtroppo anche la mia famiglia sta subendo le conseguenze di questa lotta: hanno bloccato la pensione e l’assicurazione della mia mamma; mio fratello, un ingegnere meccanico, era impiegato nel settore petrolifero e ha perso il lavoro. Ma ripeto, noi non ci lamentiamo. Molti hanno perso un arto, un braccio o una gamba, chi la vista; sono morti anche dei bambini.
Mia mamma ha fatto l’infermiera per tutta la vita e non si è mai tirata indietro quando si trattava di aiutare le persone. Recentemente ha dovuto sottoporsi a un intervento e, non potendo beneficiare dell’assicurazione, per coprire le spese ha dovuto vendere la sua auto.
La mia è una famiglia che non si è mai tirata indietro dalle proteste. Sono stati loro a insegnarmi a lottare per quello che era giusto. Il governo paga delle spie che operano all’estero; esiste una sorta di lista nera e quando hanno revocato la pensione a mia madre abbiamo capito che c’ero finita pure io, anche se non sono certo un personaggio famoso. È per questo che non posso tornare dai miei. Mi arresterebbero già all’aeroporto. Cerchiamo comunque di stare in contatto: parlo con la mia mamma un paio di volte al mese -se internet va, facciamo delle videochiamate. Con gli amici ci sentiamo più di rado. C’è anche la paura di metterli in pericolo. I miei mi sostengono incondizionatamente, dicendomi spesso che sono pronti a farsi carico, con convinzione, delle conseguenze della mia scelta. Con gli altri ci sentiamo ogni tanto e comunque io chiedo sempre di cancellare tutti i messaggi, perché potrebbero finire in prigione solo per aver comunicato con me.
Nel 2022, dopo la morte di Mahsa Amini e le conseguenti proteste, era tornata forse la speranza di un cambio di regime.
La brutalità non era certo cominciata nel 2022. Due anni prima il governo aveva ucciso 1.500 persone in soli tre giorni nel corso delle proteste contro l’aumento del prezzo del petrolio.
La morte di Mahsa Amini ha portato in superficie tante ingiustizie. Perché nessuno deve vivere così. Sono anni che le donne lottano per i loro diritti, al prezzo dell’incarcerazione, della tortura e anche della morte. Sono quarant’anni che questo regime ogni giorno uccide dei dissidenti, mentre il mondo chiude gli occhi perché l’Iran è un paese molto ricco e gli altri paesi hanno bisogno delle sue materie prime.
Tre anni fa, per la prima volta, il mondo è sembrato reagire all’uccisione di questa e altre giovani che semplicemente si erano permesse di far vedere i capelli.
Il regime tenta di dare l’illusione che le donne iraniane abbiano raggiunto una certa emancipazione, mostrando casi isolati di donne in posizioni di rilievo. Tuttavia, questi casi rappresentano una piccolissima parte della realtà. La maggior parte delle donne iraniane continua a essere vittima di un sistema legale e culturale profondamente patriarcale. Oggi le donne iraniane non possono lasciare il paese senza il permesso scritto del loro marito o del padre. Anche nelle piccole cose quotidiane, come viaggiare all’interno dell’Iran, le donne devono ottenere l’approvazione di un parente maschio. Non possono nemmeno registrarsi in un hotel senza avere la prova legale di conferma del padre o del marito. Per dire, il mio passaporto, per essere valido, doveva avere la firma del mio babbo; se fossi stata sposata, sarebbe servita l’approvazione di mio marito. Anche per viaggi brevi, se volevo spostarmi, dovevo andare alla polizia e compilare un modulo che poi mio padre doveva firmare.
Dopo le manifestazioni del 2022 si è aperta qualche crepa nel regime?
Non su questo governo, però sulle persone sì. Chi ha studiato meccanica sa che esiste un punto massimo di tensione, oltre il quale c’è la rottura. Secondo me il popolo iraniano è arrivato a questo punto. A lungo la gente ha temuto per la propria vita. Ma sempre più persone hanno cominciato a interrogarsi sul senso di questa esistenza, a pensare: è vero, se protesto, se dissento, rischio la vita, ma è vita questa? Credo sia anche per questo che tante persone si sono esposte. E voi non sapete cosa succede quando la polizia morale ti arresta, come ti trattano, gli stupri... Eppure ogni giorno tante donne decidono di uscire di casa senza il velo. Ecco, secondo me negli ultimi due, tre anni nel popolo è successo qualcosa; sempre più persone pensano: adesso basta, voglio vivere la mia vita, anche al costo di perderla...
Il video in cui ti tagliavi i capelli è diventato virale. Perché l’hai fatto?
Nella nostra cultura, le donne si tagliano i capelli in due occasioni: quando ci si prepara per la guerra o quando si è in lutto. In quei giorni per me cominciava sia la guerra che il lutto. All’epoca avevo i capelli lunghi e molto ricci.
L’unica persona che mi tagliava i capelli era mio padre, perché ho sempre avuto veramente una chioma da leone, difficile da districare. Era un momento molto difficile per me. Era la prima volta che me li tagliavo da sola. Compiere quell’atto per me equivaleva davvero a prepararmi a una guerra, alla lotta contro questo regime e allo stesso tempo c’era il dolore per la perdita di tutte queste persone. Insomma, dovevo e volevo fare qualcosa. Non potevo togliermi il velo perché già non lo portavo e però sentivo il bisogno di compiere un atto dimostrativo per denunciare quello che stava succedendo. E così mi sono tagliata i capelli e mi sono filmata mentre lo facevo.
Cos’è che tiene in piedi questo regime? Da dove arriva il consenso?
Il regime lavora molto sulla formazione, sulle scuole, per indottrinare le persone fin da bambini. E poi c’è la questione economica. Se la gran parte delle tue energie è investita nel cercare di arrivare a fine mese, nel sopravvivere, la lotta per i tuoi diritti passa in secondo piano. Molti giovani sono attratti e motivati dai soldi, perché vengono pagati molto bene; tanti vengono da famiglie molto povere.
Considera poi che la maggior parte degli iraniani conosce solo questa vita, non ha viaggiato, non ha visto il resto del mondo, è intrappolata lì e cerca di sopravvivere. In molte donne vige anche una mentalità per cui il fatto di non dover lavorare, di dipendere dal marito, di essere destinata a diventare una madre e di occuparsi solo dei figli e del marito viene apprezzato, ma perché non sono venute a contatto con altre opzioni. Ho conosciuto due ragazze che erano all’università con me; hanno iniziato a frequentare due fratelli gemelli, si sono sposate e sono andate negli Stati Uniti; da noi, oltre al velo, si porta anche quell’abito lungo che si chiama chador, che ti copre tutto il corpo; ecco, loro vestivano così. Nei primi tempi negli Stati Uniti giravano coperte, le seguivo su Instagram quindi ho visto l’evoluzione. Dopo un po’ hanno tolto l’abito lungo, poi anche il velo ha lasciato fuoriuscire dei capelli... Ovviamente non posso parlare per tutti, ma quando scopri che esiste un’altra vita possibile…
Da noi anche i social media sono sottoposti a censura. Twitter, Facebook, Instagram, ecc., sono filtrati, quindi devi usare una vpn. In certi periodi viene interrotta l’intera rete, per cui non va neanche Google. Nella tv nazionale a volte trasmettono notizie totalmente false, parlando di inondazioni o distruzioni negli Stati Uniti o di altre catastrofi. Ora, se tu hai accesso ad altre fonti, puoi verificare le notizie, ma la maggior parte delle persone non hanno questa opportunità e quindi credono a quello che viene loro raccontato.
Dell’ultimo presidente si era detto fosse un “moderato”…
No, non è un moderato. A comandare è Khamenei e il candidato alla presidenza deve comunque passare il suo vaglio per partecipare alla competizione. Nel 2009, proprio in occasione delle elezioni presidenziali, ci furono una serie di proteste e disordini contro i brogli. In quell’occasione mi ritrovai con una gamba rotta…
Quindi “moderato” è un concetto che non ha senso oggi nel mio paese. Spesso il governo iraniano dichiara di voler promuovere riforme per migliorare i diritti delle donne o di altri soggetti, ma nella pratica non ci sono veri cambiamenti. Queste riforme superficiali vengono usate per placare le critiche internazionali, mentre le strutture oppressive rimangono intatte.
Puoi parlare della tua associazione?
Si chiama Associazione unione attivisti iraniani in Italia ed è nata dal desiderio di creare un punto di riferimento per chi, come me, vive in Italia ma sente forte il legame con le lotte civili e i diritti umani in
Iran. È stata creata all’epoca in cui studiavo a Bologna; in quel periodo organizzavamo delle manifestazioni, ma partecipavano poche persone. Dopo l’uccisione di Mahsa Amini, il numero delle persone è aumentato. Abbiamo fatto qualche incontro anche con il vostro governo, ma non siamo riusciti a ottenere nulla. Altri membri dell’associazione vanno nelle scuole. In generale cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica, organizzare eventi, incontri e momenti di confronto, per non lasciare che il silenzio copra ciò che sta succedendo. Cerchiamo anche di aiutare i manifestanti feriti e i rifugiati politici, offrendo loro asilo e cure mediche, ma è un’impresa molto difficile e purtroppo la lista è lunga. Parliamo di persone che in Iran non possono andare all'ospedale, perché rischiano di essere arrestate.
Cosa possiamo fare noi?
Ci tengo a dire che, nonostante l’oppressione, le donne iraniane non sono mai state zitte.
Le donne iraniane non sono solo vittime, ma anche guerriere e la loro battaglia è la stessa di tutte le donne del mondo, per un futuro più equo e giusto. Sono state protagoniste di numerosi movimenti di protesta, come quello contro l’obbligo del velo, il “Movimento delle donne in bianco” e altre campagne per i diritti civili.
Queste donne rischiano l’arresto, la tortura e persino la morte, ma continuano a lottare per la loro libertà e a sfidare apertamente il regime, rifiutando di conformarsi ai rigidi codici di abbigliamento o protestando contro le leggi oppressive.
Molte di loro sono oggi in carcere. Uno dei principali responsabili di questa violenza è il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, che gioca un ruolo diretto negli arresti, negli interrogatori e nelle esecuzioni, mantenendo il potere del regime attraverso la paura. Nonostante le sanzioni internazionali, la loro repressione continua. Per questo è importante chiedere azioni più incisive. È altrettanto importante monitorare la situazione dei prigionieri politici e delle loro famiglie, facendo pressioni internazionali per la loro liberazione.
Abbiamo bisogno del vostro aiuto per far sentire queste richieste. I governi agiscono quando le persone li spingono a farlo. Insieme, possiamo inviare un messaggio chiaro: le violazioni dei diritti umani non saranno ignorate e il popolo iraniano non è solo in questa sua lotta per la giustizia.
(a cura di Barbara Bertoncin)
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