Bochra Belhaj Hmida, avvocata, è stata impegnata nel sindacato e nel movimento femminista e democratico; ha partecipato alla fondazione de l’Association tunisienne des femmes démocrates (premio Alexander Langer 2014) e de l’Association des femmes pour la recherche et le développement, è stata eletta in parlamento con il partito laico Nidaa Tounes. Ha ricevuto il premio Anna Lindh Foundation per il suo attivismo in difesa della democrazia.

Dopo la "primavera araba”, la Tunisia ha intrapreso un cammino di transizione tuttora in corso. Ci racconti?
Siamo nel pieno della formazione delle nuove istituzioni, abbiamo un parlamento eletto, un presidente eletto, un governo di coalizione. Abbiamo inoltre istituito la corte costituzionale e il consiglio superiore della magistratura, tutte istituzioni che sono nuove per la Tunisia, nate con la rivoluzione. Stiamo facendo progressi anche nella battaglia per i diritti umani, è stato creato un organismo nazionale di prevenzione della tortura. Possiamo dire che a livello istituzionale abbiamo ottenuto risultati sorprendenti per un paese, la Tunisia, che non rispettava i diritti umani e che non aveva vere istituzioni democratiche da dopo l’indipendenza. Questo è fondamentale.
Ora c’è bisogno che tutto questo funzioni in piena autonomia, che raggiunga una propria solidità, e che sia capace di difendersi dalle spinte retrograde. Molte persone infatti provano nostalgia per i privilegi perduti a causa della rivoluzione; il rischio legato alla tentazione del potere di restaurare il sistema precedente è reale.
Oggi la Tunisia è considerata un paese all’avanguardia nella tutela dei diritti delle donne. Paradossalmente, dopo la rivoluzione, le donne hanno temuto per le loro conquiste perché si sono sentiti discorsi molto retrogradi. La rivoluzione ha dato la libertà a tutti, ma soprattutto ai reazionari, che ne hanno approfittato. I progressisti in qualche modo si sono inizialmente autocensurati, hanno avuto maggior ritegno. Davvero, noi donne, abbiamo temuto seriamente.
La Tunisia è stato uno dei primi paesi a dotarsi di un codice della famiglia.
Sì, il codice dello statuto personale risale all’inizio del 1956. Quest’anno abbiamo festeggiato i 60 anni. È un codice che resta all’avanguardia nel mondo arabo. In primo luogo prevede l’abolizione della poligamia. In secondo luogo sancisce l’uguaglianza tra donne e uomini nel matrimonio e nel divorzio. Anche sull’eredità ci sono delle norme che tutelano i diritti delle donne. Non dimentichiamo che negli altri paesi arabi, una ragazza, se i suoi genitori muoiono, non potrà mai ereditare da sola, dovrà far riferimento a un tutore maschio. 
Nel 2011 la Tunisia ha sciolto le ultime riserve sulla Cedaw, la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna. La carta era stata ratificata nel 1985 ma con delle riserve in riferimento in particolare alla famiglia.
Tema critico in tutti i paesi arabi: nella convenzione è infatti prevista l’uguaglianza all’interno della famiglia. Ebbene, nel 2011 queste riserve sono state ritirate. è un passo avanti molto importante. Così come è importante che nella costituzione si parli esplicitamente di parità.
La battaglia riguardava la formula per cui la donna sarebbe "complementare” all’uomo...
Il dibattito ha riempito le strade e le piazze e la discussione era appunto tra uguaglianza e complementarità. Ci sono state manifestazioni straordinarie con decine di migliaia di donne e di uomini uniti contro il concetto di complementarietà. Ha vinto l’uguaglianza.
Abbiamo dovuto combattere anche il tentativo di alcuni di inserire riferimenti alla sharia. Di nuovo siamo scesi in strada, non perché i tunisini non sono musulmani, ma perché la sharia è qualcosa che va da Bin Laden e Daesh fino ai riformisti. Di cosa parliamo allora? Il fatto è che non esiste un corpus islamico condiviso da tutti i musulmani. Quindi basta che ci sia un giudice estremista o retrogrado per entrare in un’altra logica che non ha niente a che vedere con il diritto positivo.
Dopo aver ottenuto la parità nella costituzione e in parlamento (attualmente ci sono settantatré deputate donne), ora stiamo esaminando la legge sulle elezioni municipali: anche qui la metà dei capolista devono essere donne. Oggi le donne sono attive nelle associazioni, nei partiti politici, nei sindacati, nelle organizzazioni per i diritti dell’uomo e però restano regolarmente lontane dai posti di decisione ...[continua]

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