Da anni stai esplorando la figura di Ignazio Silone, che assieme a Tasca, in una sorta di biografia parallela, per gli anni dell’esilio in Francia, era già stato il protagonista di un tuo libro, Senza tradirsi, senza tradire. In questo ultimo tuo volume, Prendere Cristo sul serio. L’assillo cristiano di Ignazio Silone, ne ripercorri tutta la biografia, facendo un lavoro di sottrazione in una vita ricchissima, riportando tutto a un motivo essenziale, il cristianesimo, come chiave di lettura interpretativa di Silone.
Sì, hai detto bene, ho cercato di andare all’essenziale, a quel fondo di credenze e di pensieri originari e permanenti, senza i quali risulta meno comprensibile un percorso di successive rotture, prima con il mondo della Chiesa, poi dei partiti comunista e socialista, rotture che lo hanno di fatto portato, in Italia a essere politicamente un isolato. Anche per quanto riguarda la stesura del libro, ho scelto la strada essenziale della divulgazione, perché la motivazione (o l’illusione) da cui sono partito è trasmettere la forza di quella vita e di quelle idee a un pubblico giovane che non ne ha contezza. Ora, per rispondere alla tua domanda, la vita di Silone, fin dall’infanzia, si snoda su una duplice tensione: la fede cattolica (l’ambiente esterno, una madre devota, ma non bigotta) e la pratica del Vangelo (il padre, pur religioso, vive le contraddizioni tra la Parola e la realtà nella Lega dei contadini). Di qui scaturisce subito la percezione di una frattura tra la forza del messaggio e la modestia della pratica religiosa del tempo. Ed è una pratica a sua volta scomposta: da un lato c’è una piccola contrada, Pescina, presidiata da un numero spropositato di chiese, da un seminario, da una sede vescovile da cui origina una ritualità che permea ogni istante della vita, con la pesantezza e il fascino (si pensi alla bellezza del canto gregoriano) della grande organizzazione educatrice; dall’altro, un sentimento popolare di povera gente, al fondo del quale, tra rassegnazione e ribellione, c’è la ricerca e l’attesa del Regno. Silone, dopo aver girato tutta l’Europa, potrà dire, con una certa fondatezza, che in quelle terre quell’attesa aveva un radicamento fra i più profondi, notando come non potesse essere casuale che proprio lì si sviluppassero movimenti pauperisti non tutti assorbiti dalla Chiesa ufficiale o ancorati a essa (con non lievi tradimenti) tramite figure come S. Francesco. Questo cristianesimo popolare perenne è ciò che Silone riscoprirà nel corso della vita e che ne alimenterà il pensiero e l’azione, gli errori e i recuperi.
Sì, ma, alla prima possibilità di scelta consapevole, nell’adolescenza, sceglierà i socialisti e i comunisti.
Già, ma che poteva fare? Per chi, come lui, viveva l’assillo dell’inveramento del messaggio, quali erano le alternative? E il sovvertimento dei valori del socialismo, dove il "Regno-Sole dell’avvenire” porterà il mondo a una superiore armonia, non si presentava come una scommessa politica da cogliere in coerenza con il "sicut in coelo et in terra” del Padre nostro?
Tanto più che dopo la tragedia del terremoto che lo ha reso orfano e gli ha svelato le peggiori miserie della natura umana, ora c’è un fatto nuovo. In una parte del mondo, nell’ottobre del 1917, si è fatta una rivoluzione. E quell’annuncio è tanto forte da raggiungerlo in un collegio sperduto della Calabria dove ha dovuto e potuto rifugiarsi grazie a don Orione, dopo aver perso tutto. Confessa il suo tormento al santo prete che sarà uno dei quattro grandi uomini che riconoscerà come suoi maestri spirituali. In una lettera che gli scrive, mostra sorprendentemente di percepire come, nella nuova dottrina da cui è attratto, ci sia "tanto freddo”, e cioè un limite di eccessiva presunta razionalità e durezza. E tuttavia, va in quella direzione. Rivelerà poi, qualche anno dopo, alla sua prima compagna di vita, Serena Seidenfeld, i tormenti di quel passaggio esistenziale e la sua solitudine nel viverlo. Trasferendosi a Roma aveva trovato un ambiente accogliente tra la gioventù socialista, ...[continua]
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